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Notaio.org segnala: “Polizza sanitaria del notariato. Un esame di alcune caratteristiche”

pensione

Abstract

È noto che sul mercato delle assicurazioni sanitarie il moral hazard genera una significativa perdita secca  .

Quanto il moral hazard spinga la quantità di servizi sanitari effettivamente consumati oltre la quantità ottimale per la società dipende sia dall’entità della compartecipazione dell’assicurato alle spese ,sia dall’elasticità dell domanda di cure. Un tempo si pensava che questa elasticità fosse vicina allo zero: che , cioè ognuno di noi andasse semplicemente dal medico quando stava male e non ci andasse quando stava bene. Ma questa idea è stata smentita da vari decenni di studi economici di tipo empirico .
Prima di tutto la domanda di cure è sensibile al prezzo : gli individui iscritti al piano che offriva cure gratuite utilizzavano circa il 30% di cure in più rispetto a chi doveva pagare di tasca propria il 95% di quelle cure . Questo dato ha fatto ritenere agli economisti che l’utilizzatore tipico dei servizi sanitari  reagisce a un cambio di criteri di compartecipazione alle spese .

Perciò una conclusione  in generale in tema di polizze sanitarie può  portare a sostenere che una politica sanitaria ottimale lascia a carico del paziente una quota importante dei costi sanitari fino al raggiungimento di limiti di spesa che egli è in grado di sostenere e lo assicura totalmente sui costi insostenibili . Questo schema è ottimale ,in quanto una copertura fino all’ultimo centesimo comporta scarsi benefici in termini di stabilizzazione dei consumi, ma forti costi in termini di moral hazard. La copertura totale , quindi , non comporta grandi vantaggi nello stabilizzare i consumi ,ma ha costi significativi di moral hazard , in quanto spinge gli individui a un utilizzo eccessivo del sistema sanitario , a chiedere cioè servizi i cui costi sociali sono superiori ai benefici sociali . In altri termini coprire le piccole spese sanitarie genera pochi benefici ( in quanto la stabilizzazione dei consumi rispetto a piccoli rischi non vale molto per il diretto interessato ) ma implica costi notevoli ( in quanto induce quella persona a utilizzare i servizi sanitari anche quando il beneficio marginale , aggiuntivo , è inferiore al costo marginale): il piano assicurativo ottimale , pertanto , non rimborsa all’assicurato le spese mediche minori , ma gli garantisce ( gli dovrebbe garantire ) la copertura delle grandi spese ( e lo dovrebbe fare in modo effettivo proprio perché sono “ grandi “ cioè diciamo per anticipare alcune conclusioni , non con un’assistenza indiretta che potrebbe far gravare “ costi insostenibili “ sul malato ) . Gli garantisce la copertura,  effettiva , delle grandi spese , che sono anche quelle associate a maggiori benefici in fatto di stabilizzazione dei consumi e minori possibilità di moral hazard( si pensi all’infarto ).

Lo studio esamina questa tematica connessa alle caratteristiche della polizza vigente per il notariato.

Sommario

Impostazione del problema. – I° paragrafo. Asimmetria informativa ed equilibrio separating. Una possibile soluzione per la polizza sanitaria del notariato. – II° Paragrafo. Un’altra soluzione (provvisoria) per la polizza sanitaria del notariato. Conclusioni

di Francesco Felis | Notaio in Genova

Impostazione del problema

La polizza sanitaria del notariato, come anche risulta dal sito, della Cassa Nazionale del Notariato, prevede due piani sanitari: il primo detto piano sanitario base collettivo e gratuito a favore dei notai e dei pensionati (con esclusione dei familiari) per i Grandi Interventi Chirurgici (cosiddetti GIC), i Gravi Eventi Morbosi (cosiddetti GEM), la Non Autosufficienza, le Cure Oncologiche e di Follow up, le Prestazioni Extraospedaliere di alta diagnostica e di Prevenzione. Un secondo piano sanitario integrativo (single e family) ad adesione volontaria e con contributo a carico del titolare che completa le prestazioni base con prestazioni aggiuntive a copertura del Ricovero Medico e Chirurgico, del Parto naturale o cesareo, delle Visite Specialistiche, Diagnostica e Fisioterapia, del Pacchetto Maternità, delle Protesi Ortopediche e degli Apparecchi Acustici ed, infine, delle Cure Odontoiatriche in convenzione. Il secondo, quello integrativo (single e family) ad adesione volontaria e con contributo a carico del titolare completa le prestazioni base con prestazioni aggiuntive a copertura del Ricovero Medico e Chirurgico, del Parto naturale o cesareo, delle Visite Specialistiche, Diagnostica e Fisioterapia, del Pacchetto Maternità, delle Protesi Ortopediche e degli Apparecchi Acustici ed, infine, delle Cure Odontoiatriche in convenzione. Vorrei esaminare alcune criticità, perché, come dirò una polizza sanitaria ottimale, secondo la definizione degli studiosi di economia dovrebbe avere certe caratteristiche e soprattutto dovrebbe assicurare con certezza verso certi interventi ed ad un tempo scoraggiare il possibile incremento di costi, che possono derivare da una generalizzata gratuità (almeno nel caso di specie, per la versione base). Gratuità che può incidere, non solo ai fini di un aumento di spesa ma anche ai fini delle prestazioni effettivamente erogate. Le compagnie di assicurazioni, se si spinge molto con atteggiamenti che favoriscono il c.d. moral hazard possono o non offrire più la polizza, o offrirla a condizioni che a un certo punto diventano insostenibili o non offrire di fatto certe prestazioni o fare in modo che i ritardi nelle stesse prestazioni, i forti anticipi di spesa cui vengono costretti gli assicurati, li costringono a rinunciare a ricorrere alla polizza.

È noto che sul mercato delle assicurazioni sanitarie il moral hazard genera una significativa perdita secca (1). Le assicurazioni non conoscono le condizioni sanitarie e fisiche dei possibili soggetti che vorrebbero assicurarsi.

Quanto il moral hazard spinga la quantità di servizi sanitari effettivamente consumati oltre la quantità ottimale per la società dipende sia dall’entità della compartecipazione dell’assicurato alle spese, sia dall’elasticità della domanda di cure.

Un tempo si pensava che questa elasticità fosse vicina allo zero: che, cioè ognuno di noi andasse semplicemente dal medico quando stava male e non ci andasse quando stava bene.
Ma questa idea è stata smentita da vari decenni di studi economici di tipo empirico.
I migliori dati empirici sull’elasticità della domanda di cure sanitarie provengono da un esperimento, l’Health Insurance Experiment (HIE), condotto dalla società Rand a metà degli anni Settanta in varie località degli Stati Uniti. Agli individui sono stati assegnati in modo casuale piani assicurativi con percentuali diverse di compartecipazione dell’assicurato alle spese mediche, prevedendo però un esborso massimo: oltre tale limite massimo le eventuali spese sanitarie dell’assicurato sarebbero state completamente coperte. Lo studio ha dato risultati considerati sorprendenti (2).

Prima di tutto la domanda di cure è sensibile al prezzo: gli individui iscritti al piano che offriva cure gratuite utilizzavano circa il 30% di cure in più rispetto a chi doveva pagare di tasca propria il 95% di quelle cure. L’elasticità implicita complessiva riscontrata dallo studio era di 0,2, il che significa che ogni aumento del 10% della quota a carico degli individui riduceva del 2% la domanda di cure.
In secondo luogo, chi – grazie al prezzo più basso – utilizzava maggiormente i servizi sanitari non riportava, mediamente, alcun significativo miglioramento di salute.

Questo dato ha fatto ritenere agli economisti che l’utilizzatore tipico dei servizi sanitari, nel momento in cui reagisce a un cambio di criteri di compartecipazione alle spese, si trovi come dicono gli economisti sul tratto piatto della curva di efficacia (3).  Ma ciò non implica che quell’assicurazione non abbia alcun valore, visto che una volta raggiunta la soglia di esborso massimo l’assicurazione offre copertura completa delle spese. I risultati dello studio indicavano che, se gli individui hanno una copertura assicurativa per le spese maggiori, le eventuali variazioni della quota di compartecipazione alle spese minori non sembrano influenzarne la salute.
In terzo luogo, chi aveva malattie croniche e un reddito che non gli consentiva di finanziare facilmente la compartecipazione alle spese sanitarie andava incontro a un peggioramento di salute.
Un risultato confermato anche da studi più recenti (vedi Gruber, 2007), che sembra suggerire che la compartecipazione alle spese rischia di aggravare lo stato di salute di chi soffre di malattie croniche che sarebbero curabili. Anzi, da alcuni studi emerge che nel caso dei malati cronici un aumento della quota di compartecipazione finisce addirittura per aumentare i costi sanitari totali, in quanto il minor consumo dei farmaci prescritti e il diradarsi delle visite mediche portano ad un peggioramento della salute, e quindi a lunghi periodi di ricovero ospedaliero.

Un esempio di questo tipo di ricerche emerge da uno studio (4), che ha analizzato gli effetti dell’aumento della compartecipazione ai costi delle visite mediche e dei farmaci sui dipendenti pubblici in pensione in California. Ne è emerso che tutti i pensionati hanno nettamente tagliato sia le visite sia il consumo di farmaci, e dunque la spesa sanitaria totale. Ma a fronte di ciò, nel caso di pensionati con disturbi cronici si è riscontrato un aumento della spesa ospedaliera: si può presumere che il calo dei trattamenti ambulatoriali abbia prodotto un aumento dei trattamenti ospedalieri sufficientemente forte da annullare i risparmi dovuti al minor uso di medici e farmaci da parte dei malati cronici.

Allora giungiamo ad alcune prime conclusioni in generale in tema di polizze sanitarie.
Diverso sarebbe il discorso se parlassimo di Servizio sanitario nazionale sul tipo inglese o italiano.
Limitiamoci al tema polizze sanitarie e vediamo in prima approssimazione alcuni punti, per poi proseguire. Abbiamo appurato, come già detto all’inizio, che sul mercato delle assicurazioni sanitarie il moral hazard genera una significativa perdita secca.

Perciò come primo punto dovremmo affermare che:

1- Una politica sanitaria ottimale lascia a carico del paziente una quota importante dei costi sanitari fino al raggiungimento di limiti di spesa che egli è in grado di sostenere e lo assicura totalmente sui costi insostenibili.
Questo schema è ottimale ,in quanto una copertura fino all’ultimo centesimo comporta scarsi benefici in termini di stabilizzazione dei consumi, ma forti costi in termini di moral hazard.
La copertura totale  non comporta grandi vantaggi nello stabilizzare i consumi, ma ha costi significativi di moral hazard, in quanto spinge gli individui a un utilizzo eccessivo del sistema sanitario, a chiedere cioè servizi i cui costi sociali sono superiori ai benefici sociali.

In altri termini coprire le piccole spese sanitarie genera pochi benefici (in quanto la stabilizzazione dei consumi rispetto a piccoli rischi non vale molto per il diretto interessato) ma implica costi notevoli (in quanto induce quella persona a utilizzare i servizi sanitari anche quando il beneficio marginale, aggiuntivo, è inferiore al costo marginale): il piano assicurativo ottimale, pertanto, non rimborsa all’assicurato le spese mediche minori, ma gli garantisce (gli dovrebbe garantire) la copertura delle grandi spese (e lo dovrebbe fare in modo effettivo proprio perché sono “grandi” cioè diciamo per anticipare alcune conclusioni , non con un’assistenza indiretta che potrebbe far gravare “costi insostenibili” sul malato) . Gli garantisce la copertura, effettiva, delle grandi spese, che sono anche quelle associate a maggiori benefici in fatto di stabilizzazione dei consumi e minori possibilità di moral hazard (si pensi all’infarto).

A questo schema di fondo i risultati dello HIE e di studi successivi aggiungono un elemento: la partecipazione del paziente alle spese va congegnata in modo da incentivare le cure appropriate e scoraggiare cure inappropriate.

Perciò se certe cure (o certi farmaci) si possono ricevere in certi centri è inutile e controproducente non assicurare certi farmaci o le cure in determinati centri o strutture per prevederle in centri o strutture diverse. Una riduzione della partecipazione del paziente ai costi dei farmaci, per esempio, può risultare efficace in caso di malattie croniche, e ottimale anche in tutti i casi in cui si vogliono sussidiare azioni di prevenzione che possano scongiurare trattamenti più costosi in futuro.

2- come secondo punto non bisogna dimenticare che l’assicurazione sanitaria viene chiesta per tutelarsi in caso di problemi di salute e relative spese mediche, non tanto per avere un rimborso delle spese cioè un semplice ristorno di somme anticipate, che dipendono dal reddito di ciascuno. Perché se si stipula un‘assicurazione sanitaria lo si fa o perché si pensa che il reddito possa non essere sufficiente (anche se la ricchezza lo può essere, ma dovrebbe essere liquidata, con un effetto ricchezza negativo che potrebbe determinare una minor quota di consumi, cioè anche problemi macroeconomici) o le cure possono avere ad oggetto “costi insostenibili” e perciò il premio assicurativo diventa, appunto, una salvaguardia, per avere le cure.
Certamente soprattutto sui mercati assicurativi esiste sempre un problema di asimmetria informativa (vale a dire una differenza tra le informazioni disponibili tra chi domanda e chi offre assicurazione):  basta richiamare il noto saggio del 1970 sul mercato delle auto usate dell’economista e premio Nobel George Akerlof (5).

3- Fin dove una polizza sanitaria dovrebbe coprire le spese? La copertura ottimale di un’assicurazione dipende dai trade- off tra i guadagni in termini di stabilizzazione dei consumi e i costi in termini di moral hazard. La generosità della copertura in campo sanitario, in genere, si misura guardando alla quota di spese sanitarie oggetto di rimborso.

La generosità delle assicurazioni ha soprattutto una dimensione: il rimborso ai pazienti. Quale frazione della spesa sanitaria è a carico dell’assicuratore, e quale viene sostenuta dal paziente attraverso meccanismi come la franchigia o la compartecipazione fissa o variabile alle spese? Un piano assicurativo generoso offre una copertura fino all’ultimo centesimo, garantendo ai fornitori sanitari un rimborso totale senza costi a carico del paziente. Piani assicurativi meno generosi escluderanno dal rimborso alcuni servizi, costringendo i pazienti a sostenere l’intero costo o fissando una soglia di spesa a loro carico. Quale quota delle spese sanitarie dovrebbe essere rimborsata al paziente?

Un’altra dimensione della generosità di una polizza sanitaria riguarda il rimborso ai fornitori sanitari: come dovrebbe avvenire? L’assicuratore dovrebbe pagare l’intero importo richiesto dal fornitore, oppure porre dei limiti al rimborso?

4- È chiaro il vantaggio offerto da una polizza agli assicurati: il suo valore per chi è avverso al rischio consiste nello stabilizzare i consumi indipendentemente dal costo di possibili eventi sanitari. Ma, posto i costi delle polizze sia per gli utenti sia per le compagnie di assicurazione, bisogna tenere conto di due principi. Uno è quello, come già detto, che una polizza ottimale è quella, soprattutto se vi è la presenza anche di un sistema pubblico, di lasciare a carico del paziente una quota più o meno importante dei costi sanitari fino al raggiungimento di limiti di spesa che egli è in grado di sostenere e lo assicura totalmente sui costi insostenibili, cioè appronta un sistema per le cure importanti e non per le spese mediche minori. L’altro è che una polizza fornisce, proprio per questo, per le cure importanti, al limite con una compartecipazione variamente conformata, la cura più che un rimborso cioè una somma. Proprio perché si tratta di cure rilevanti.

Gli eventi sanitari non sono tutti uguali: una rapida visita di controllo è meno importante e più prevedibile, per esempio, di un ricovero in ospedale per infarto.

L’idea chiave della teoria dell’utilità attesa, cui si informa lo stesso concetto assicurativo, è che l’assicurazione abbia molto più valore quando copre gli eventi medici del secondo tipo, mentre una copertura dei (piccoli) eventi del primo tipo ai fini di una stabilizzazione dei consumi vale relativamente poco.

Perciò una polizza che rimborsi le spese fino all’ultimo centesimo non offre grandi vantaggi rispetto a una polizza che lasci invece a carico dei pazienti le piccole voci di spesa sanitaria e preveda l’intervento dell’assicurazione solo quando si deve far fronte ai grandi costi di eventi di maggior peso.

E questo quando soprattutto si ha a che fare con una categoria come quella notarile (che  vuole coprire anche i pensionati che spesso hanno un reddito più basso) che vuole coprire “i piccoli eventi” che per le sue condizioni reddituali li può anche affrontare in media, mentre i grandi eventi (certi interventi cardiaci o ortopedici o tumorali o di  neurochirurgia richiedono in certi centri dove solo possono essere affrontati stante la loro complessità anche perché in Italia i centri di eccellenza sono mal distribuiti) richiedono un anticipo di spesa cui il reddito medio (mediano, meglio) può non farvi fronte.

Due sono, in particolare, i motivi per cui perseguire formalmente una copertura totale di piccoli e prevedibili eventi sanitari offre scarsi benefici nello stabilizzare i consumi. Il primo motivo è che, in una prospettiva di avversione al rischio, l’utilità di assicurarsi contro un rischio modesto è scarsa: la disutilità del pagamento di premi per tutelarsi da rischi lievi è grosso modo equivalente all’utilità di essere assicurati contro quei rischi. Si può dire che assicurarsi contro rischi modesti offra pochi vantaggi in termini di stabilizzazione di consumi, in quanto piccole variazioni di consumi sono associate a un’esiguità utilità marginale decrescente: la minore utilità dovuta a una riduzione dei consumi pari ad 1€ è all’incirca equivalente alla maggiore utilità dovuta a un incremento dei consumi pari ad 1€. Quando i rischi implicano minime diminuzioni di reddito, dunque, gli individui, anziché avversi sono “neutrali rispetto al rischio”.

Il secondo motivo per cui quando le spese mediche sono limitate e prevedibili una loro copertura (più o meno totale) offre scarsi benefici di stabilizzazione dei consumi è che sostenere queste spese attraverso forme di autoassicurazione (personali cioè) è molto più facile che far fronte a eventi sanitari importanti e/o imprevedibili. È possibile risparmiare (o avere un reddito) in anticipo il denaro necessario per pagare una visita medica, un esame, ma è molto inefficiente risparmiare 200.000€ o 50.000€ o 30.000€ per far fronte alla piccola probabilità di avere un infarto o un intervento di neurochirurgia.

Ciò posto, abbiamo verificato quale potrebbero essere le caratteristiche generali di una polizza sanitaria che, in presenza di un servizio sanitario pubblico, sarebbe meglio si concentrasse su certi eventi e cure (quelle dai costi insopportabili in base ad un reddito mediano di un certo ammontare) magari prevedendo compartecipazioni differenziate o forme analoghe, tenendo conto che per questi eventi è non solo più difficile che si verifichino ed è più difficile affrontarli ma soprattutto è più difficile che il paziente ricorra a forme di abuso . Il moral hazard (anche i fenomeni da malato immaginario che abusa di cure) sono meno usuali per interventi cardiaci o di neurochirurgia (chi ci si sottopone se non è costretto e l’intervento non è fondato si potrebbe domandare e comunque è più facile controllare la fondatezza.

I° Paragrafo. Asimmetria informativa ed equilibrio separating. Una possibile soluzione per la polizza sanitaria del notariato.

Esponiamo prima di tutto alcuni concetti del mondo delle assicurazioni dei quali ho già avuto modo di parlare e ai quali ho fatto riferimento nell’ impostazione che precede per poi vedere come operano per la polizza sanitaria notarile e se la stessa è congruente.

1.Il valore delle assicurazioni per gli individui è una conseguenza del principio di “utilità marginale decrescente”: l’utilità marginale del consumo diminuisce all’aumentare del consumo stesso. Per ciascuno di noi, mangiare la prima pizza o il primo gelato dà un beneficio aggiuntivo maggiore rispetto al mangiare la quinta o il quinto.

Questo assunto porta significa che di fronte alla scelta tra due anni di consumo costante, pari a quello medio, e un anno di consumo sovrabbondante e un anno di fame, chiunque preferirà la prima opzione. Due anni di consumi in linea con la media appaiono preferibili, in quanto un consumatore eccessivo incrementa l’utilità meno di quanto la fame la riduca. Insomma gli individui preferiscono una “stabilizzazione dei consumi” trasferire cioè una parte dei propri consumi dai periodi in cui sono alti (e, dunque, la loro utilità marginale è minore) ai periodi in cui sono bassi (e, dunque, la loro utilità è maggiore).

Quando gli eventi futuri sono incerti, gli individui preferiscono stabilizzare i propri consumi nei diversi possibili “stati del mondo”.

Se l’utilità viene massimizzata in modo da mantenere il livello dei consumi costante dal primo al secondo anno, è anche vero che l’utilità viene massimizzata in modo da mantenerla costante a prescindere dall’esito di un qualche evento oggi avvolto nell’incertezza.

Pensiamo ad un individuo e alla probabilità che venga investito da un’auto e debba di conseguenza sostenere forti spese mediche. I possibili scenari sarebbero due: che quella persona venga investita o che non venga investita. Quella persona dovrà fare una scelta, che domani influenzerà i suoi consumi in entrambi possibili stati del mondo (incidente si/incidente no), in modo da massimizzare ex ante, cioè a partire dalla situazione iniziale, l’utilità che ne trae.

Gli individui definiscono i propri consumi nei vari stati del mondo in modo da utilizzare oggi una parte dei propri redditi per acquistare una polizza che li assicuri contro un eventuale esisto avverso domani. Stipulando una polizza assicurativa, ci si impegna a versare del denaro (premio), a prescindere dall’effettivo stato del mondo futuro, in cambio di un vantaggio (risarcimento) che si riceverà solo qualora l’esito oggi avvolto nell’incertezza dovesse rivelarsi avverso, ossia per ritornare all’esempio, l’incidente dovesse realizzarsi. Quanto maggiore è il premio pagato all’assicuratore, tanto maggiore sarà, in caso di esito avverso, il risarcimento che l’assicurato riceverà da parte dell’assicuratore. Decidendo quanta assicurazione acquistare, gli individui possono così trasferire i propri consumi da uno stato del mondo all’altro. Per esempio, acquistando molta assicurazione un individuo trasferirà i consumi dallo stato del mondo a esito “positivo” (in cui si limita a pagare dei premi) a quello a esito “negativo” (in cui riceve un risarcimento a fronte dei premi pagati).

L’indicazione di fondo che emerge dalla teoria elementare delle assicurazioni è che gli individui preferiranno essere “completamente assicurati, in modo da stabilizzare i propri consumi tra i vari possibili stati del mondo”. In un mercato assicurativo perfettamente funzionante, gli individui preferiranno acquistare un’assicurazione in modo da mantenere costante il livello dei propri consumi, indipendentemente dai possibili eventi negativi che dovessero verificarsi (per esempio essere investiti da un’auto). Dato il principio di utilità marginale decrescente, agire in questo modo garantisce agli individui un livello di utilità maggiore rispetto all’eventualità che un possibile incidente intacchi i loro consumi.

L’idea di fondo, quando sopra ho parlato di stabilizzazione dei consumi, di polizza ottimale ecc. … è che è meglio avere un consumo costante in qualsiasi stato del mondo che avere un consumo alto in uno stato del mondo e basso in un altro (si potrebbe dire che, forse, è la favola della cicala e della formica).

Gli economisti usano questo meccanismo per rappresentare le scelte in condizioni di incertezza: il modello dell’utilità attesa. Supponiamo di avere a che fare con un esito incerto e indichiamo con p la probabilità di un esito avverso. La funzione di utilità attesa, detta EU – expected utility-, assume questa forma:

EU=(1p) x U (consumo in caso di evento non avverso )+pxU(consumo in caso di evento avverso).

Usiamo questo modello per analizzare la decisione individuale sull’acquisto di un’assicurazione. Tizio ha una probabilità dell’1% (p=0,01) di essere investito da un’auto e riportare lesioni che comportino 30.000€ di spese mediche. Tizio può scegliere se assicurare tutte, alcune o nessuna delle potenziali spese mediche, ma ogni euro di spese mediche gli comporterà m centesimi di premio assicurativo.

Quindi se Tizio acquista una polizza assicurativa che in caso di incidente gli garantisce un risarcimento di €b, dovrà pagare un premio di €mb. Per esempio, se assicurerà completamente il rischio, pagherà m x €30.000. Se Tizio decide di assicurarsi, nello stato del mondo in cui non verrà investito si troverà ad avere €mb in meno rispetto a quanto avrebbe avuto se non si fosse assicurato; mentre nello stato del mondo in cui verrà investito, avendo pagato un premio di €mb e ricevendo dall’assicurazione un risarcimento di €b per spese mediche s i ritroverà ad avere €b-mb in più rispetto al caso in cui non avesse acquistato l’assicurazione. In pratica, per Tizio acquistare un’assicurazione è un modo di trasferire parte dei propri consumi da una situazione in cui non viene investito (e dunque ha consumi elevati, la cui utilità marginale è bassa) ad una situazione in cui viene investito (e dunque ha consumi più bassi, la cui utilità marginale è elevata).

L’interesse di Tizio a spostare parte dei propri consumi dalla situazione “incidente no” a quella “incidente si” dipende da quanto gli costa assicurarsi. Ipotizziamo che le compagnie chiedano un premio unitario attuarialmente equo, pari cioè alla probabilità dell’evento negativo. Questo assunto implicherebbe che gli assicuratori non debbano sostenere alcun costo amministrativo e non ricavino dalla propria attività alcun profitto, limitandosi a convertire i premi incassati in risarcimenti su richiesta.

Se per esempio il rischio che l’assicuratore debba pagare €30.000 è dell1%, il risarcimento atteso sarà pari a 0,01×30.000=€300, e ogni assicurato dovrà pagare questo premio. Se la probabilità d’incidente è dell’1%, l’assicuratore raggiunge il punto di profitti nulli (pareggio) a €300 di premio. Riscuotendo €300 da ogni assicurato, è in grado di risarcire per €30.000 una persona su cento (il risarcimento medio sarà di €300). Più in generale, per qualsiasi copertura pari a €b e probabilità di risarcimento pari a p, le compagnie di assicurazione applicheranno premi pari a €pxb.

La conclusione fondamentale della teoria dell’utilità attesa è che se i premi sono attuarialmente equi gli individui preferiscono un’assicurazione completa che stabilizzi i loro consumi a prescindere dagli stati del mondo.

Così anche se l’assicurazione costa, se il suo prezzo (premio) è attuarialmente equo gli individui referiranno assicurarsi completamente contro eventi avversi. Quando i premi sono attuarialmente equi, il mercato assicurativo produce un esito efficiente, “ossia un’assicurazione completa, che garantisce un identico livello di consumo nei vari stati del mondo”.

  1. 2. Una differenza importante tra gli individui riguarda la diversa disponibilità a sopportare il rischio: ossia l’avversione al rischio. Gli individui con una forte avversione al rischio (potrebbero essere ad esempio anche i notai anziani o in pensione) presentano una curva di utilità marginale del consumo con andamento decrescente molto ripido. In altre parole temono un calo dei consumi, e in uno stato del mondo positivo saranno disposti a sacrificare un certo livello di consumi pur di tutelarsi contro forti riduzioni dei consumi in uno stato del mondo negativo (quelli ad esempio per i quali sopra ho fatto riferimento come grosse spese mediche, che presentano costi insostenibili, spese per interventi di cardiochirurgia o di neurochirurgia, per i quali anche solo anticipare la spesa può portare forti riduzioni di consumi).

Il grado di avversione al rischio ha, in generale, un rapporto complesso con la forma della funzione di utilità; ma l’idea di fondo secondo cui un’utilità marginale che diminuisce rapidamente equivale a una maggiore avversione al rischio è un principio generalmente valido e utile.

Gli individui meno avversi al rischio hanno invece un’utilità marginale dei consumi che decresce più lentamente: quando le cose vanno bene non sono disposti a fare grandi sacrifici per tutelarsi contro un eventuale peggioramento della situazione (per esempio i notai giovani).

Quando l’assicurazione ha un prezzo attuarialmente equo, tutti gli individui saranno disposti ad acquistarla, indipendentemente dal grado di avversione al rischio. Se l’utilità marginale è decrescente, egli preferirà sempre stabilizzare i consumi.

Quando invece i premi assicurativi non sono attuarialmente equi, probabilmente chi è più avverso al rischio preferirà assicurarsi e chi lo è meno vi rinuncerà. Chi più è avverso al rischio (notai anziani o notai in pensione) è più disponibile a fare sacrifici quando le cose vanno bene per assicurarsi contro un loro eventuale peggioramento.

  1. 3. Immaginiamo due gruppi di 100 persone. Al primo gruppo appartengono i tipi sbadati e distratti, che attraversano la strada senza fare molta attenzione. Essi hanno la probabilità del 5% di essere investiti. L’altro gruppo comprende tipi prudenti, che guardano sempre. I membri del secondo gruppo ha una probabilità di essere investito che scende allo 0,5%.

L’effetto sul mercato assicurativo dipende dal grado di informazione relativa di cui dispongono gli individui e la compagnia di assicurazione.

  1. Supponiamo che sia la compagnia sia gli individui dispongano di informazioni complete (simmetriche) su chi attraversa con prudenza e chi no.

In questo caso la compagnia applicherà prezzi diversi, attuarialmente equi, a chi fa parte rispettivamente del gruppo dei distratti o di quello dei prudenti (notai anziani o in pensione o notai giovani potrebbero avere prezzi diversi ma con la diversità e anche con maggior prezzo per gli uni assicurare “ai distratti” quelle cure dirette che, per stabilizzare i consumi, essi possono avere più bisogno potrebbe essere un’idea).

I primi pagheranno un premio di 5 centesimi per euro per assicurato, mentre i secondi il premio scenderà a 0,5 euro per ogni euro assicurato. O si può agire sulla franchigia o sulla compartecipazione alle spese, procedendo a differenziare.

  1. Supponiamo ora che la compagnia di assicurazione sappia che ci sono 100 individui sbadati e 100 individui prudenti ma non sappia in quale categoria si collochi un determinato individuo. In questo caso ci sono due possibilità.

La prima è chiedere a ogni individuo se è prudente o sbadato e poi offrire un’assicurazione a premi distinti.

Tutti dichiareranno di essere prudenti per cercare, tutti, di pagare un premio basso. A queste condizioni nessuna compagnia offrirà polizze. Ma perché non fornirgli le informazioni e fare in modo che la compagnia non possa differenziare?

In alternativa, la compagnia potrebbe riconoscere che non ha la più pallida idea di chi sia prudente o no, e offrire un’assicurazione a un premio pari al costo medio di tutti gli individui. Ma questo può portare a un premio o a condizioni contrattuali, più in generale medie cioè tra le quali la negazione di certe assistenze dirette per centri costosi dove le cure sono di qualità per eventi sanitari la cui presenza, però, può alterare profondamente il livello dei consumi. Penalizzando alcuni, come avviene quando si guarda alla media.

A parte il fatto che i prudenti potrebbero non voler acquistare l’assicurazione perché il premio (pari al costo medio) sarebbe un cattivo affare. Tra acquistare un’assicurazione che prevede un premio di X o condizioni contrattuali di X e non assicurarsi affatto, per loro sarebbe un cattivo affare dato che hanno solo una probabilità dello 0,5% di essere investiti. Perciò la metà dei prudenti, che ci tengono ad avere un’assicurazione totale contro il rischio di essere investita, si potrebbe ritrovare senza assicurazione

  1. L’asimmetria informativa porta necessariamente al fallimento del mercato?

Le compagnie di assicurazione sono sempre destinate all’insuccesso quando esistono asimmetrie informative?  Non è detto.

Vediamo prima cosa sia il c.d. equilibrio separating (equilibrio di separazione) e poi i principi di base di come funzionano le assicurazioni sanitarie, soprattutto la quota a carico del paziente che può essere definita in tre modi: franchigia, compartecipazione fissa alla spesa, compartecipazione variabile alla spesa.

Così trarremo le fila di tutto il discorso fatto.

-Equilibrio separating 

  1. Circa il primo punto, equilibrio separating, innanzitutto, gli individui sono generalmente avversi al rischio. Altrimenti, si potrebbe aggiungere a questo assunto della psicologia, se non lo fossero non penserebbero neanche ad assicurarsi. Chi è avverso al rischio attribuisce alla possibilità di assicurarsi contro esiti negativi un valore tale da essere disposto a pagare per una polizza anche un premio molto superiore a quello attuarialmente equo. O accettare condizioni contrattuali (franchigie o compartecipazioni più sfavorevoli).

La somma che l’individuo è disposto a pagare al di là del premio attuarialmente equo si chiama “premio di rischio”, che può comprendere anche condizioni contrattuali poco favorevoli.

Per riprendere il mio esempio, coloro che attraversano la strada con prudenza potrebbero essere talmente avversi al rischio (i notai più anziani o pensionati nel caso della polizza sanitaria) – e quindi timorosi di restare senza copertura assicurativa senza copertura assicurativa  efficace, per esempio una copertura che li costringa ad anticipare (giovani o anziani che siano) somme che possono non avere o per via della giovane età o per via della loro anzianità e comunque di un reddito non adeguato – da essere disposti a pagare per una polizza il prezzo (premio) medio. Cioè ,se il premio attuarialmente equo di una polizza per i prudenti fosse di €150, ma il mercato fa pagare € 800 – chiedendo così al gruppo dei prudenti un premio di rischio di €650 – chi è avverso al rischio, o i soggetti sopraindicati, acquisterà egualmente un’assicurazione completa o almeno che abbia delle condizioni contrattuali che stabilizzino i consumi come detto e coprano effettivamente le ipotesi gravi senza dover subire sbilanci di reddito e cambiamenti dalla situazione di stato senza evento dannoso a quella con evento dannoso.

Tecnicamente, questa situazione si chiama “equilibrio pooling”. Si tratta di un equilibrio di mercato in cui tutti i tipi di individui acquistano un’assicurazione completa, o con certe caratteristiche contrattuali, ma a un prezzo che non è equo per tutti.

Questo equilibrio è un risultato efficiente: entrambi i tipi di individui sono totalmente assicurati, e l’assicurazione è disposta a offrire un’assicurazione.

Se invece non c’è l’equilibrio di pooling, la compagnia di assicurazione può affrontare il problema della selezione avversa anche in un altro modo. Può offrire prodotti differenziati a prezzi differenziati.

I soggetti sbadati si dichiarano prudenti per potersi assicurare più a buon mercato: così nasce il problema della selezione avversa.

La compagnia di assicurazione vorrebbe indurre gli individui a rivelare come sono davvero (sbadati o prudenti). Anche se i diretti interessati non sono disposti e rivelare spontaneamente in quale categoria si collocano, è possibile che ciò emerga implicitamente dalle loro scelte.

Supponiamo che una compagnia di assicurazione offra due polizze: una che copre totalmente i €30.000 di spese mediche associate ad un incidente e costa €1.500 o prevede sempre e comunque l’assistenza diretta per evitare esborsi (il premio attuarialmente equo per gli sbadati), e un’altra polizza che copre le spese mediche fino a €10.000 (con alcune strutture con assistenza indiretta) e costa €50 (il premio attuarialmente equo per quel livello di copertura per i prudenti).

Se i prodotti offerti sono questi due, probabilmente gli sbadati acquisteranno la copertura più costosa e i prudenti la meno costosa. Gli sbadati non vogliono correre i rischi, neanche di anticipare spese, associati a una copertura di €10.000, visto che hanno maggiori probabilità di avere incidenti, e preferiscono pagare un prezzo più alto pur di garantirsi una copertura completa.

I prudenti, invece, possono assumersi il rischio di una copertura parziale, in quanto hanno poche probabilità di avere incidenti.

Offrendo prodotti diversi a prezzi diversi, la compagnia di assicurazione ha portato gli individui a rivelare come sono davvero.

Questo equilibrio di mercato è chiamato “equilibrio separating (equilibrio di separazione)”. Nel caso dei notai offrire una polizza uguale per tutti, gratuita, in una opzione (la seconda opzione prevede anche la copertura di altri interventi ma non si pone il problema dell’assistenza diretta o indiretta che invece è rilevante per quello che abbiamo detto circa le condizioni della polizza sanitaria ottimale), cioè  non distinguere e ad un tempo scoprire che essa lascia numerose strutture mediche che non danno assistenza diretta, costringendo i pazienti proprio per le cure più importanti e rilevanti e magari nelle migliori strutture, ad anticipare spese ingenti (certi interventi hanno almeno una spesa di € 50.000), non soddisfa queste condizioni.

Costringe a subire improvvisi sbilanci di reddito, a diminuire i consumi in un certo periodo, con conseguente anche di rilievo macroeconomico se fossero diffuse. Non tiene conto almeno di prevedere comunque un’assistenza diretta per interventi (ovunque siano fatti) che prevedano certi importi rilevanti (che superino comunque certe soglie) che in genere sono quelli più importanti e nei centri migliori.

Magari si potrebbe prevedere in questi casi una compartecipazione.

Se tutto ciò suona inverosimile basta richiamare cosa è avvenuto circa trent’anni anni sul mercato delle polizze sanitarie negli Stati Uniti.

All’epoca, le compagnie assicurative offrivano a tutti gli individui polizze a premio unico, molto generose e molto care. Ma appena i costi delle assicurazioni sanitarie iniziarono a crescere, questa strategia smise di essere redditizia. Le compagnie reagirono all’aumento dei costi offrendo due prodotti: un piano assicurativo tradizionale e un nuovo prodotto, erogato dalle cosiddette HMO (Health Maintenance Organization). Le HMO offrivano un’assistenza molto più limitata, per esempio un acceso meno ampio ai medici specialisti, ma chiedevano un premio molto inferiore.

Il risultato fu un massiccio spostamento verso questa nuova opzione da parte degli individui sostanzialmente sani, i cui costi/ benefici erano relativamente bassi: un classico esempio di equilibrio separating.

Ma, a differenza dell’equilibrio pooling, l’equilibrio separating è un fallimento del mercato. Gli sbadati ricevono qualcosa che avrebbero avuto anche in caso di informazione simmetrica: una copertura completa a un prezzo che è sì elevato, ma che essi sono comunque disposti a pagare. I prudenti, invece, non possono avere l’opzione che avrebbero preferito: copertura completa a un prezzo basso e attuarialmente equo. In questo caso di fallimento del mercato, le compagnie di assicurazione costringono i prudenti a scegliere tra copertura completa a prezzo alto e copertura parziale a prezzo inferiore: molti opteranno per la copertura parziale anche se non è la soluzione ottimale. Ottimale sarebbe offrire una copertura completa a entrambi i gruppi, ma a prezzi diversi, che riflettano i diversi rischi di infortunio associati a ciascuno di essi. Quindi, anche se si offrono prodotti separati, la selezione avversa può impedire ai mercati di raggiungere un risultato efficiente (6).

-Come funzionano le assicurazioni sanitarie 

  1. Circa questo secondo punto, lasciando perdere la presenza di un servizio sanitario nazionale pubblico che costringe sempre più, per ragioni di bilancio e debito pubblico, a ricorrere ad un sistema sanitario privato, trascurando il sistema sanitario privato quando viene esercitato in regime di convenzione perché subisce gli stessi ritardi e liste di attesa di quello pubblico (“razionamento con mezzi diversi dai prezzi” si dice in economia il fenomeno delle liste di attesa) e non consegue quella che ho detto stabilizzazione dei consumi, rimanendo ad un sistema sanitario privato cui dovrebbe provvedere una polizza , abbiamo visto che chi è avverso al rischio preferisce finanziare spese incerte attraverso un’assicurazione, almeno quando può acquisirla a condizioni eque. Gli individui, le aziende, gli ordini professionali, la Cassa del notariato ecc… versano premi (mensili ecc..) a una compagnia assicurativa, che in cambio rimborsa ai fornitori sanitari una parte più o meno consistente del costo dei beni e servizi medici utilizzati dai pazienti (previa richiesta di indennizzo di quest’ultimi).

La maggior parte dei piani assicurativi prevede che una quota dei costi dei beni e servizi sanitari sia a carico del paziente, mentre il resto sarà coperto dell’assicuratore.

La quota a carico del paziente può essere definita in tre modi.

Franchigia annuale: in questo caso l’assicurato si fa carico del 100% della sua spesa annuale fino a un limite massimo; mentre la compagnia assicurativa pagherà totalmente o parzialmente le spese oltre tale limite.

Compartecipazione fissa alla spesa: l’assicurato paga una cifra fissa a fronte di un bene o servizio sanitario ricevuto.

Compartecipazione variabile alla spesa: questa formula prevede che l’assicurato sostenga una percentuale della spesa (il tasso di compartecipazione) anziché, come nel caso precedente, una cifra fissa, indipendentemente dall’importo totale.

Ora, utilizzando uno o più di questi tre modi, ma soprattutto l’ultimo, in combinazione con il c.d. equilibrio separating perché non è possibile far gravare, anche differenziando per soggetti (o categorie cioè notai oltre una certa età o un certo reddito ecc..i criteri possono essere molti e alcuni certi come l’età o il reddito dichiarato), parte o tutta la prestazione sanitaria a fronte di premi differenziati in modo che anziché prevedere “il tutto gratuito” per esempio della prima opzione oggi vigente, non si incentivi l’uso di cure mediche esagerate e di ammontare tale che non costituiscono motivo per intaccare la ricchezza o i risparmi.

Per esempio, per certe categorie di età o di reddito, una compartecipazione, o un premio differente a fronte di un’assistenza sanitaria diretta eviterebbe che chi può avere più bisogno (età) sia costretto a ricorrere ai risparmi o alla sua ricchezza, salvo un recupero dopo tempo. E in molti casi con grosse difficoltà. Tra l’altro negando i principi dell’assicurazione sanitaria ottimale, i motivi per cui si fa.

Questo in un periodo soprattutto in cui il servizio sanitario pubblico è fortemente differenziato per zone geografiche, alcune cure, quelle più costose o tempestive, possono essere ricevute solo da strutture di certe zone, dove a causa di una forte polarizzazione di reddito (non dimentichiamo che la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna e Lazio rappresentano gran parte del Pil italiano e al 2020 il Pil lombardo era circa il 22% di quello italiano, seguito da quello del Lazio con il 11,3% ,il Veneto con il 9,2% e l’Emilia Romagna con il 9%, ma in tre regioni si concentra la maggior quota di export ) si creano strutture con ingenti mezzi finanziari e strutturali (il capitale spesso va non dove ve ne è meno, ma dove ne esiste di più) e i medici vanno in zone ricche e più remunerative.

II° Paragrafo. Un’altra soluzione (provvisoria) per la polizza sanitaria del notariato.

Al di là delle considerazioni sopra indicate, stante la forte polarizzazione indicata con la concentrazione di medici (di un certo tipo e rilievo) e di strutture in certe zone, con cure da potersi effettuare necessariamente, di fatto, in certi centri a costi ingenti, sapere che per esempio con certi medici o strutture bisogna anticipare certe spese può essere penalizzante (pensiamo a centri come l’Istituto Besta di Milano, l’istituto Monzino di Milano, l’Istituto Rizzoli di Bologna, l’ospedale San Raffaele di Milano e in genere tutto il gruppo sanitario San Donato).

Come rimediare, senza alterare i conti?

Una volta che la compagnia di assicurazione ha ritenuto che la prestazione sanitaria in quei centri o con quel sanitario, rientra nel piano assicurativo, anche se in regime di prestazione indiretta, ma con la certezza del rimborso, nel caso specifico dei notai la Cassa del Notariato, per certi tipi di intervento (superiori a un certo ammontare o di una specifica tipologia) può anticipare al paziente la somma che la compagnia di assicurazione gli avrebbe rimborsato. La Cassa del Notariato può anticipare la somma alla struttura e poi avrà il rimborso (a questo punto certo) dalla compagnia di assicurazione. Non rischiando nulla. Eventualmente per questo anticipo, se il notaio, in modo opzionale e facoltativo, si vuole avvalere del sistema potrà essere costretto a partecipare oltre a quello che dovrebbe in base alle condizioni contrattuali? Per contribuire a formare una sorta di fondo?

Sarebbe da valutare. Ma sia la Cassa del notariato, sia la compagnia di assicurazione non avrebbero rischi una volta accertato che la prestazione rientra nell’oggetto dell’assicurazione.

Conclusioni

Il mio obiettivo era quello di verificare, stante la presenza di un moral hazard, quale fosse una politica sanitaria ottimale. Ho individuato la stessa in quella che lascia, con realismo, una quota (più o meno importante) a carico del paziente dei costi sanitari fino al raggiungimento di un limite di spesa che egli è in grado di sostenere e lo assicura totalmente sui costi insostenibili.

Per costi insostenibili comprendo anche ingenti anticipi di spesa. In una situazione, italiana, dove in pochi centri e sovraffollati si concentrano cure importanti, un ingente anticipo di spesa significherebbe porre a carico del paziente (anche notaio, soprattutto se pensionato o anziano) un onere non sostenibile.

Del resto l’esigenza (che deriva dalla copertura totale) è quella di ottenere anche sia una stabilizzazione dei consumi. Ma la copertura totale insieme con un accesso gratuito, a carico della Cassa del notariato in molti casi, potrebbe non conseguire il risultato: ci potrebbe essere un uso eccessivo del sistema sanitario. Perciò più che concentrarsi sui piccoli rischi e rimborsare le spese mediche minori, meglio concentrarsi sulla copertura delle grandi spese che sono anche associate a maggiori benefici in tema di stabilizzazione dei consumi e minori possibilità di moral hazard.

Tra queste grandi spese rientra l’intervento, per fare un esempio, di neurochirurgia o di cardiochirurgia al San Raffaele o al Besta o al Policlinico Gemelli senza dover passare da liste di attesa di un anno o dover anticipare €50.000 e oltre.

Per questo ricorrere in modo adeguato o combinato a quello che è detto equilibrio separating con l’uso di franchigie o compartecipazioni, può assicurare cure a soggetti che altrimenti avrebbero difficoltà a ottenere. Perlomeno ottenere subito.

Certo possono essere metodi che partono e fanno esercizio di realismo ma a volte per una politica (anche sanitaria, anche fosse di categoria) un’etica della responsabilità è migliore di un’etica della volontà. Una soluzione di second best (7) è preferibile, si potrebbe dire, ad altri assetti astratti.

Pertanto oltre a procedere in questo senso volendo ottenere come indicato una possibile copertura totale delle grosse spese mediche che prevedono anche solamente ingenti anticipazioni che influiscono sul benessere singolo ma anche collettivo (di categoria) ricorrendo a certi concetti si può appunto differenziare per giungere a risultati soddisfatti.

Inoltre altre soluzioni, magari temporanee, perché le prime richiedono la collaborazione e il dialogo con le compagnie di assicurazione, possono essere trovate. Come forme di anticipazioni effettuate non dal paziente ma dalla Cassa che poi è sicura di recuperare l’anticipazione.

Per scoraggiare un uso diffuso di questo secondo strumento che prevede almeno costi burocratici ed organizzativi in chi effettua l’anticipazione, si può prevedere per il paziente (che tra l’altro potrebbe non poter attendere) forme di compartecipazione o di pagamento di interessi per le somme.

L’importante ai fini di una stabilizzazione dei consumi del paziente e perché lo stesso non debba incidere il patrimonio o rinunciare o posticipare le cure è uscire da un sistema che prevede la gratuità per una opzione, incentivando i costi che scoraggiano le compagnie di assicurazione, con la pretesa di coprire tutto, prevede un premio per una seconda opzione di cure ma in realtà se si ha da affrontare una grossa spesa costringe a cercare solo certi medici o certe strutture limitando la scelta del paziente a soluzioni che possono essere non soddisfacenti.

Se la non soddisfazione, la sofferenza deve esserci, più che nella scelta del medico o della struttura sia in una compartecipazione alle spese o in una partecipazione alle spese per le anticipazioni di somme. Basta che questi oneri non siano, è ovvio pari all’entità richiesta per gli interventi medici. Tra l’altro sulle spese mediche maggiori il rischio di moral hazard è limitato. E nel caso la Cassa anticipasse la spesa, tale anticipazione avverrebbe dopo una valutazione della compagnia di assicurazione che ha verificato la sussistenza di tutti i presupposti.

Perciò i l problema che spesso la Cassa del Notariato non sembra cogliere, proprio perché esistono anche diverse “classi di notai “(quelli anziani, quelli con scarso repertorio, quelli con repertorio ultra milionario, ecc.) è che lo scopo di un’assicurazione sanitaria dovrebbe essere:

– evitare il moral hazard, cioè che tutti ricorrano all’assicurazione, i ricchi e i poveri, perché altrimenti a un certo punto i costi diventano insostenibili;

stabilizzare i consumi degli assicurati, soprattutto quelli più refrattari al rischio.

Essi sono evidentemente, nel caso particolare, i più anziani e quelli con un repertorio più basso. Anche perché sono quelli che in tema di stabilizzazione dei consumi possono essere i più penalizzati.

Dare a tutti esami e interventi, anche esami e interventi che se affrontati personalmente (cioè quelli meno gravi) non destabilizzerebbero i consumi e il tenore di vita, significa di fatto penalizzare chi non è in grado per il reddito, di affrontare i grossi interventi. Fosse anche solo come anticipo di spesa.

Certi grossi interventi richiedono anticipi di spesa nell’ordine di 60.000€.

Questo destabilizza i consumi, come dicono gli economisti, non certo gli interventi sotto una certa soglia.

Per dare tutto a tutti e gratis (opzione A, salvo una franchigia che non scoraggia il moral hazard) finisce che lasciare scoperti gli interventi, per rimanere a Milano dove possono esistere centri medici in grado di sopperire ad esigenze mediche che in altre regioni non possono essere affrontate, ad esempio presso il San Raffaele, il Besta e il Monzino o fuori Milano al Rizzoli e non solo. Del resto ipotizzare, al di là delle polemiche sul “turismo sanitario” che ci possano essere 20 centri (uno per regione, di cardiochirurgia, di neurochirurgia, di ortopedia dove affrontare operazioni estremamente complesse, che richiedono uomini spesso insufficienti e strumenti) è utopistico.

Quelli elencati a titolo di esempio sono tutti posti dove vai per interventi importanti appunto dove devi anticipare 50/60 mila €. Posti dove arrivi da tutta Italia, perché la sanità pubblica in certe regioni ha una situazione tragica.

Tra l’altro per i grossi interventi è più facile controllare la loro fondatezza e quindi evitare il moral hazard, altrimenti detta sindrome da malato immaginario.

Le due proposte avanzate non sono rivoluzionarie, né eversive:

1- almeno per i più anziani (se non puoi per tutti) o per quelli con un repertorio sotto una certa soglia (equilibrio separating), anche utilizzando diversi criteri, bisognerebbe, per i grossi interventi (sopra una certa soglia, c.d. equilibrio separating) assicurare l’assistenza diretta.

Altrimenti destabilizzi i consumi

2- in subordine, per non destabilizzare né in consumi del notaio (“ricco o povero”) né i conti della Cassa, non si capisce perché una volta che l’assicurazione ha accettato di intervenire, anche se in modo indiretto, non possa la Cassa anticipare la spesa, posto che poi rientra dalla stessa. Eventualmente facendo dare al notaio, che vuole avvalersi di questa possibilità, un piccolo interesse.

Note

(1) per moral hazard si intende la tendenza a perseguire i propri interessi a spese della controparte, confidando nell’impossibilità, per quest’ultima, di verificare la presenza di dolo o negligenza. È stato coniato nel settore delle assicurazioni, dove gli assicurati tendono a modificare il loro comportamento riducendo la prudenza necessaria per evitare o minimizzare le perdite, rendendo così, di fatto, più elevati i rimborsi o pagamenti richiesti. Il moral hazard si presenta anche nella vita di tutti i giorni: se il guidatore è responsabile per tutti i danni, è probabile che guidi una macchina noleggiata più prudentemente che non quando questi siano coperti da assicurazione. Il rischio morale influisce sull’efficienza, perché i benefici extra ottenuti dagli assicurati sono spesso inferiori ai costi che ne conseguono, questi ultimi sostenuti dalla controparte. Gli incentivi al comportamento inappropriato rappresentano un problema nella misura in cui le possibilità di controllo o prevenzione siano scarse o eccessivamente costose.

(2) si veda Newhouse, Joseph P. e the Insurance Experiment Group, 1993, Free for All’? Lessons from the Rand Health Insurance Experiment. Cambridge (MA) Harvard University Press; Gruber Jonathan. The Role of Consumer Copayments for Health Care: lessons from the Rand Health Insurance Experiment and Beyond. Mit. Unpublished paper April ,2006; Gruber Jonathan. Scienza delle Finanze. Edizione italiana a cura di Simona Scabrosetti. Egea. 2018.pag. 238 e ss.

(3) le conseguenze di un sovrautilizzo (inefficiente) dei servizi sanitari possono essere illustrate, in economia, facendo riferimento a figure, a grafici, che rappresentano il rapporto tra la spesa sanitaria e il miglioramento della salute che ne consegue, ovvero “la curva di efficacia della sanità”. L’asse orizzontale, in genere, misura “il livello” della spesa sanitaria e l’asse verticale il “beneficio marginale in termini di salute” derivante da un ulteriore euro di spesa sanitaria. Per comodità, i benefici di salute sono espressi in euro cioè in altre parole il diretto interessato attribuisce al miglioramento della propria salute un valore monetario: 1€ di benefici equivale a un miglioramento della salute che per l’interessato è pari di 1€. Ogni punto della curva equivale al miglioramento marginale della salute generato da un ulteriore euro di spesa sanitaria. All’inizio, la spesa sanitaria è molto produttiva, nel senso che ottiene grandi miglioramenti di salute grazie a una serie di interventi medici con un rapporto costi/ efficacia vantaggioso (si pensi alla vaccinazione degli anziani per l’influenza). Un punto (ad esempio A) misura i benefici marginali di salute associati a un ulteriore euro di spesa sanitaria quando la spesa sanitaria è di 1.000€. In quella situazione spendere quell’euro in più ottiene un miglioramento della salute pari a 5€ (asse verticale), ossia genera benefici cinque volte superiori al costo marginale. Ma, man mano che la spesa sanitaria cresce si passa da interventi molto efficaci rispetto al loro costo a interventi la cui efficacia è molto meno evidente. Nel punto B, passare da 2.000€ a 2.001€ di spesa sanitaria accresce la salute di un valore pari a 1€, ossia uguale all’aumento di spesa. Nel punto C, passare da 5.000€ a 5.001€ di spesa sanitaria genera un miglioramento di salute del valore di appena 10 centesimi di €, ossia dieci volte minore dell’incremento di spesa. Ci sarà una situazione dove la curva di efficacia si appiattisce e un’ulteriore spesa non produrrà alcun miglioramento di salute o quasi. La teoria economica prevede che le persone smettano di utilizzare i servizi sanitari quando il beneficio marginale di salute che deriva da quei servizi è inferiore al loro costo marginale. In un mercato assolutamente concorrenziale, se le persone pagassero il costo pieno delle cure che ricevono un certo punto diventerebbe quello che rappresenta il livello socialmente ottimale della spesa sanitaria. Ma se al diretto interessato le ulteriori cure non costano molto, egli continuerà a chiederle finché la curva di efficacia non si appiattirà completamente. Questa domanda spinge, però, la società in un’area in cui con ogni euro di spesa sanitaria in più si compra meno di 1€ di salute in più. cfr. Gruber Jonathan. Scienza delle finanze cit.p.237 per il grafico circa la parte piatta della curva di efficienza:

Immagine1

(4) Chandra, Amitabh, Jonathan Gruber e Robin McKnight. Medical Price Sensitivity and Optimal Health Insurance for the Elderly. Mit ,unipublished paper. 2006

(5) Akerlof George. The market for Lemons: Quality Uncertainty and The Market Mechanism. Quarterly Journal of Economics. 84 (August) 1970. p.488-500

(6) Un problema di selezione avversa si verifica in una condizione di asimmetria informativa quando un attore del mercato meglio informato sfrutta le informazioni in suo possesso per trarre vantaggio di un altro attore del mercato che non dispone di quelle informazioni. Oltre che nel famoso esempio fatto da Akerlof nel suo articolo, un esempio è presentato in uno studio di Cutler e Reber della Harvard University (Cutler David M., Reber Sarah J. Paying for Health Insurance: the trade -off between competition and adverse selection. Quarterly Journal of Economics 113 (maggio) 1998.pag. 433-466).Harvard offriva ai suoi dipendenti un’ampia varietà di piani assicurativi, alcuni molto più generosi di altri (comprendendo la copertura di più costose operazioni chirurgiche. I prezzi praticati nei confronti dell’Università da parte delle compagnie di assicurazione variavano in funzione degli assicurati che usufruivano effettivamente dei trattamenti medici coperti dal piano assicurativo. Se per esempio si registravano molti malati tra gli assicurati con un certo piano e quindi i suoi costi salivano, le compagnie assicurative applicavano all’Università premi più alti. È il sistema detto experience rating: il prezzo stabilito è funzione degli esiti realizzati.

È equivalente ex post dell’aggiustamento attuariale. Quest’ultimo stabilisce il prezzo sulla base dell’esperienza attesa, l’experience rating consiste nel fissare un prezzo sulla base dell’esperienza reale o realizzata.

I costi erano ripartiti tra l’Università e i suoi dipendenti. Harvard tutelava i suoi dipendenti accollandosi una quota maggiore del costo dei piani più generosi e più cari, in modo tale che i dipendenti si trovassero a sostenere costi analoghi, indipendentemente dal piano scelto. Perciò per i lavoratori l’aggravio da sostenere per ottenere un’assicurazione più generosa era piccolo. Nel 1995 Harvard passò ad un sistema in cui l’istituzione contribuiva con lo stesso importo per ogni piano assicurativo.

Così i dipendenti per le assicurazioni più generose e costose dovevano assumersi costi maggiori.

I due autori hanno osservato che il nuovo sistema incrementava notevolmente il fenomeno della selezione avversa. Prima del 1995, molti individui sceglievano i piani più generosi perché i prezzi erano molto simili a quelli dei piani meno generosi. Si stabiliva un equilibrio di pooling in cui sia i malati e sia i sani sceglievano l’assicurazione (completa) generosa. Quando invece, i dipendenti si sono trovati a dover pagare molto di più per beneficiare della maggior copertura, alcuni di loro hanno scelto piani assicurativi meno costoso mentre i meno sani hanno continuato a scegliere i piani più generosi. In altre parole il gruppo di assicurati si spostava verso un equilibrio separating, in cui i sani contraevano assicurazioni meno generose a prezzi più bassi e i meno sani sceglievano le assicurazioni più generose e più costose.

Poiché, però i meno sani usufruivano di cure mediche in misura maggiore, i premi legati all’esperienza (che rispecchiano l’utilizzo medio dei servizi medici da parte degli assicurati) dei piani più costosi aumentarono sensibilmente. Dato che l’università si accollava solo un ammontare fisso indipendentemente dal costo totale dell’assicurazione, i maggiori costi dei piani più generosi ricadevano su chi li aveva scelti, con la conseguenza di una fuga ancora più consistente degli individui più sani verso soluzioni assicurative più abbordabili.

Si arrivava ad una spirale di premi più alti che spingevano i più sani ad abbandonare i piani più generosi e, quindi, a rincari ancora maggiori (poiché gli assicurati restanti erano mediamente più malati) e a nuovi esodi dei più sani. Questa tendenza è continuata finché il piano più generoso è diventato così costoso da non essere più offerto. La selezione avversa ha così compiuto il suo percorso. L’esito è stato inefficiente perché gli individui che volevano un’assicurazione molto generosa non potevano più permettersela a nessun prezzo.

(7) Quando il first best è impedito dalla mancata realizzazione di una o più condizioni, il second best può portare ad introdurne ulteriori può mitigare gli effetti negativi della prima. Per es., se un’impresa monopolistica nella sua attività di produzione causa danni all’ambiente che si traducono in svantaggi per altri agenti economici, si è in presenza di due violazioni delle condizioni di first bestla prima dovuta al fatto che la forma di mercato non è la concorrenza perfetta, la seconda all’esistenza di esternalità negative. Se non è possibile eliminare quest’ultima distorsione, proporsi di sostituire la concorrenza perfetta (richiesta dal first best) al monopolio potrebbe peggiorare la situazione: con il cambiamento della forma di mercato, infatti, la produzione aumenterebbe e ciò aggraverebbe i danni ambientali e le esternalità. Questo effetto negativo potrebbe eccedere l’effetto positivo e diretto sul benessere che avrebbe la maggiore disponibilità di beni conseguente all’eliminazione del monopolio; se ciò avvenisse, il s. b. consisterebbe nel tollerare il monopolio.


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Notaio.org segnala: “Sistemi pensionistici e sistema pensionistico notarile : considerazioni economiche”

pensione

Abstract

Bisogna distinguere circa i regimi pensionistici  tra  metodo di finanziamento della spesa, che può essere a ripartizione o a capitalizzazione ed attiene al modo in cui si reperiscono le risorse per pagare le pensioni in essere e il  metodo di calcolo dei benefici, che può essere a prestazione definita o a contribuzione definita e riguarda la specifica formula con la quale vengono calcolate le prestazioni cui hanno diritto i pensionati .All’interno della prima distinzione che richiama quella tra sistema PAYGO e sistema FUNDED si innesta la seconda che riguarda il metodo di calcolo dei benefici e che può essere pregiudizievole o comunque non meno importante rispetto alla prima e può combinarsi in vario modo rispetto alla scelta del metodo di finanziamento .Il lavoro dopo aver analizzato queste distinzioni trae le conclusioni per il regime pensionistico della categoria con considerazioni di carattere puramente economico ,senza riferimenti a possibili diritti quesiti o a questioni che attengono all’equità .Si esprime ,circa il sistema di finanziamento ,una preferenza per il sistema a ripartizione e per il metodo di calcolo dei benefici per il sistema a prestazione definita.

Ma soprattutto si fa presente che tra sistema a ripartizione o a capitalizzazione ,a differenza di quello che si ritiene generalmente ,l’elemento centrale è il tasso di crescita e se questo è uguale al tasso di interesse i due sistemi sono molto simili.

Ma per entrambi ,per la loro scelta ,conta non solo l’opzione tra prestazione definita o contribuzione definita ma soprattutto il tasso di crescita del Pil ,quello generale del Paese e quello specifico di categoria.

Sommario

Introduzione . I- Paragrafo. Il metodo di finanziamento. II- Paragrafo. Il metodo di calcolo. III-Paragrafo. Sistema pubblico /Sistema privato. IV-Paragrafo. Il sistema PAYO e il sistema FUNDED. Conclusioni

di Francesco Felis | Notaio in Genova

Introduzione

Diverse possono essere le prospettive circa le riforme pensionistiche, di tipo generale o per singola categoria, ma sarebbe utile partire da alcune nozioni il cui fraintendimento o poca chiarezza su di esse può portare a soluzioni e proposte poco ragionevoli

Prima di tutto è da chiarire che tre sono le dimensioni fondamentali dei sistemi pensionistici.

Bisogna tenerle distinte e possono sovrapporsi ma non necessariamente:

  • Il metodo di finanziamento della spesa, che può essere a ripartizione o a capitalizzazione ed attiene al modo in cui si reperiscono le risorse per pagare le pensioni in essere
  • Il metodo di calcolo dei benefici, che può essere a prestazione definita o a contribuzione definita e riguarda la specifica formula con la quale vengono calcolate le prestazioni cui hanno diritto i pensionati
  • L’istituzione che gestisce il sistema che può essere lo stato o il mercato: un sistema previdenziale può essere gestito dall’operatore pubblico o da una serie di fondi privati, complementari ma anche sostitutivi dello schema pubblico. L’intervento pubblico, in teoria, anziché concentrarsi nella gestione del sistema pensionistico potrebbe anche essere solo basato su una regolamentazione più o meno stringente del funzionamento dei fondi pensione privati.
  • Comunque è da chiarire che queste tre dimensioni viste sopra possono combinarsi in qualsiasi modo e sono indipendenti l’una dall’altra. Ogni argomentazione su un sistema pensionistico anche di categoria deve essere sviluppata avendo ben presente questo aspetto e sviluppando il discorso in modo distinto per ognuna delle tre dimensioni viste sopra. Infatti i sistemi a ripartizione e a capitalizzazione (che riguardano l’aspetto del finanziamento della spesa, come si recepiscono le risorse) possono convivere sia con benefici o prestazioni definite sia con contributi o contribuzione definita (che attiene alla formula con la quale vengono calcolate le prestazioni per i pensionati) e possono essere pubblici o privati. In Italia dagli anni 90 del XX secolo vi è un sistema pubblico a ripartizione a contributi definiti, Modigliani aveva proposto un sistema pubblico a capitalizzazione a benefici definiti, nei paesi latino americani vige un sistema privato a capitalizzazione a contributi definiti, in molti paesi U.E vige un sistema pubblico a ripartizione a benefici definiti come era in Italia.

I- Paragrafo. Il metodo di finanziamento

La spesa annua per pensioni, come ho detto, può essere finanziata secondo due modalità.

– Nei sistemi a ripartizione ogni anno i lavoratori versano contributi (o imposte) che vengono trasferiti sotto forma di pensione alla generazione anziana: i contributi dei giovani servono a pagare le pensioni degli anziani. Emerge un patto intergenerazionale che si basa su una promessa, cioè quella di versare i contributi da giovane perché si sa che quando si sarà anziani i futuri giovani verseranno anche loro contributi con i quali verrà pagata la pensione a quelli che prima hanno versato .Un sistema a ripartizione presuppone necessariamente una forte presenza pubblica perchè solo lo Stato ha il potere coercitivo per garantire il soddisfacimento della promessa e se viene gestito da privati ,come avviene in Italia per alcune Casse previdenziali degli ordini dei libero professionisti, (tra le quali quella  notarile) deve esistere una forte regolamentazione pubblica sulla dinamica futura di entrate e uscite, regolamentazione che serve da garanzia implicita verso le generazioni future.

La ripartizione è un sistema che serve quando si vuole creare o ampliare un sistema previdenziale perché, trasferendo i contributi dei lavoratori, permette di pagare immediatamente pensioni anche alla classe anziana che non aveva versato in precedenza contributi: si fa un regalo alla prima generazione aderente ad un sistema a ripartizione

-Nei sistemi a capitalizzazione, i contributi versati non vengono trasferiti agli anziani ma sono accumulati (capitalizzati) in conti individuali (gestiti dal sistema pubblico o da fondi privati o per esempio dalla nostra Cassa del Notariato). Una volta raggiunta l’età pensionabile il lavoratore finanzierà la propria pensione mediante l’ammontare accumulato. Di fatto la capitalizzazione funziona come se ogni lavoratore mettesse obbligatoriamente da parte dei soldi che poi può utilizzare mensilmente sotto forma di rendita pensionistica. Ma bisogna tenere conto dell’inflazione e, perciò, non ha fondamento la visione semplicistica di un soggetto che mette i propri contributi in un salvadanaio per accumulare i contributi in un sistema a capitalizzazione e poterli utilizzare in età anziana per soddisfare i propri consumi.

Non è vero che in un sistema a capitalizzazione un soggetto abbia una pensione che dipenda esclusivamente dai propri contributi, che la sua pensione sia pagata dai suoi contributi.

Questa è una versione sbagliata, irreale, che genera distorsioni e abbagli. Anche ne genera nella nostra categoria (il notaio che verserebbe molti contributi avrebbe una pensione ricca e viceversa quello che ne versa pochi o perlomeno le due categorie avrebbero una pensione in linea con i contributi versati per finanziare i propri consumi e ognuno dovrebbe adeguare il proprio standard di vita da pensionato ai contributi versati). Infatti l’ammontare delle pensioni in un sistema a capitalizzazione dipende soprattutto da altro, nonostante che molti, dopo la riforma Dini del 1995, facciano riferimento all’immagine del salvadanaio.

Gli individui devono acquistare titoli da giovani che poi venderanno, principalmente ai futuri giovani, una volta che andranno in pensione. Con un sistema a capitalizzazione, non si fa un regalo per gli attuali anziani essendo i contributi accumulati e non trasferiti al consumo degli anziani (come nella ripartizione).

La capitalizzazione permette di creare, mediante i contributi, uno stock di risparmio, che seguendo i principi della teoria economica neoclassica, crea un sistema borsistico, di utilizzazione del risparmio, un sistema creditizio, che consente sia di raggiungere un più alto livello di reddito pro capite e un tasso di crescita dell’economia sia di erogare pensioni che dipendono in gran parte non dai contributi ma dall’efficienza, dall’efficacia del sistema creditizio o borsistico. Cioè se gli individui devono vendere i titoli e si crea uno stock di risparmio che viene incanalato, tramite la borsa o il sistema creditizio, alle imprese o all’investimento in genere, a parte la presenza di un sistema che non è di sola distribuzione (ripartizione) ma anche di creazione di ricchezza o di crescita, soprattutto l’entità delle prestazioni pensionistiche dipende da come viene gestito (dai fondi privati o pubblici) il risparmio.

Perciò se il sistema va verso la capitalizzazione i contributi dei futuri giovani saranno accumulati per finanziare la loro pensione (ma non dipenderà solo da essi) e non verranno trasferiti agli anziani.

Si pongono a questo punto due problemi.

A-Il costo di transizione. Esso può essere finanziato riducendo (almeno in parte) le pensioni promesse in passato agli anziani con un aumento di imposte (caricando cioè i giovani anche del finanziamento di tali promesse) o emettendo debito (pubblico nel caso dello Stato o privato nel caso di un Ente privato). Non oso pensare alle conseguenze, a parte la rottura parziale della promessa che era a base del sistema a ripartizione quando fu creato, perché, lo vedremo, significa passare ad un altro sistema (a capitalizzazione) che di per sé non da sicurezza circa l’entità delle prestazioni (non è come mettere i soldi in un salvadanaio ho detto…) e al contempo penalizza qualcuno e richiede un finanziamento per assorbire la transizione

B- Il confronto tra ripartizione e capitalizzazione. Come si possono mettere a confronto i due sistemi anche per valutare quale sia il più conveniente (valutazione a priori molto difficile, anche sbagliata perché ideologica) o meglio per valutare empiricamente i rispettivi pro e contro? Lasciamo perdere valutazioni basate su criteri equitativi, sulla rottura di patti intergenerazionali ecc….e atteniamoci a criteri più economici.

Il confronto deve essere condotto in riferimento al tasso di rendimento che è possibile pagare ai lavoratori sui contributi versati.

Uno specifico sistema pensionistico sarebbe da preferirsi quando, mantenendo l’equilibrio tra entrate e uscite, è in grado di pagare pensioni più alte a parità di versamenti o fa versare meno contributi per raggiungere una pensione predefinita.

Un sistema a capitalizzazione, nel quale i risparmi contributivi sono investiti nel mercato dei capitali, perché questo è in realtà il suo aspetto essenziale e non quello che la pensione sia commisurata ai contributi perché non è vero, perché il salvadanaio non esiste e se esistesse sarebbe deleterio per il lavoratore perché non terrebbe conto del fenomeno inflattivo ad esempio, consegue il tasso di rendimento ottenuto su tali investimenti

Perciò ci sono i pro e i contro. Si forma un mercato dei capitali ,con benefici macroeconomici, ma per i pensionati il rendimento dipende da questo, da come viene investito il loro risparmio, dall’oculatezza degli amministratori dei fondi pensione (della Cassa nel nostro caso), anche da fattori economici generali (pensiamo a problemi del mercato borsistico o creditizio, senza arrivare al crollo di Wall Street del 1929 o ad avvenimenti più recenti), richiede almeno che gli amministratori di questo risparmio siano più imprenditori, più economicamente attrezzati, più dinamici rispetto agli amministratori di un Ente che agisce in un sistema a ripartizione (nel quale ci sono fattori più macroeconomici che possono agire, fattori demografici ecc….ma vi sono minori fattori gestionali ad avere influenza). Un sistema a capitalizzazione implica in prospettiva un cambiamento, per esempio, di gestione, di scelta e selezione degli amministratori della Cassa rispetto ad oggi? Un accentuato controllo?

Un sistema a ripartizione se deve essere in equilibrio finanziario, presenta, a proposito del tasso di rendimento, invece, la presenza di un rendimento implicito in base a quanto dimostrato dal teorema di Aaron e Samuelson, che è pari al tasso di crescita delle risorse attraverso cui si finanzia la spesa pensionistica.

Cosa vuol dire?

Se la spesa per pensioni viene finanziata dalla fiscalità generale (nel sistema notarile dai contributi versati mensilmente) il tasso di rendimento sostenibile della ripartizione è pari alla crescita della base imponibile (nel sistema notarile dall’ammontare dei contributi cioè dagli atti …).Se, come avviene generalmente, al finanziamento della spesa concorrono i lavoratori mediante il versamento di contributi, il tasso di rendimento sostenibile è pari al tasso di crescita della massa salariale, che è approssimabile al tasso di crescita del PIL in presenza di equilibro demografico e quote distributive costanti (più occupati ci sono, perché il Pil cresce, e più contributi o imposte per finanziare il sistema ci saranno, al netto dell’evasione contributiva o fiscale).

Un sistema a ripartizione realizza l’equilibrio se il rendimento offerto agli iscritti è uguale al tasso di crescita della base imponibile.

Nell’ambito notarile, dove l’evasione è impossibile il tasso di rendimento sostenibile sarà pari al tasso di crescita della massa salariale, cioè del numero dei notai? Non credo perché la “massa salariale “nel nostro caso è data dal tasso di crescita del PIL (se l’economia va bene ci sono più affari) ma la nostra “massa salariale “è solo in parte approssimabile al tasso di crescita del Pil. Da noi dipenderà dal numero di affari, ad esempio, che la politica deciderà, attraverso il sistema delle competenze più o meno esclusive, che dovrà passare dal notariato.

Sicuramente poco dipende dall’”andamento demografico notarile“ perché anche con un maggior numero di notai non è detto che vi siano più affari di competenza notarile e comunque essi possono tutti essere soddisfatti dai notai esistenti ,non diminuendo l’entità del contributi

Piuttosto un sistema a ripartizione, che crea minori preoccupazioni gestionali, può essere influenzato dalle competenze e dal tipo di atti riservati. Ma anche essi, il loro numero, dove vengono fatti non dipende da chi contribuisce o versa i contributi, i notai, ma da fattori economici generali (in certe zone si fanno più assemblee e meno vendite o all’interno di certi settori, tipo il settore del diritto commerciale, più un certo tipo di atti e meno altri). Ma comunque non dipende da chi individualmente versa i contributi.

Serve in un sistema a ripartizione l’aumento dell’età pensionabile? Certamente non si può dire che non serva (anche un aumento dell’età pensionabile per il “sistema pensionistico notarile “potrebbe servire) ma al tempo stesso non mi sembra il caso di enfatizzare la misura come spesso avviene.

L’aumento dell’età per poter usufruire della prestazione pensionistica non consegue le condizioni di cui al teorema Aaron e Samuelson sopra indicato per comparare i due sistemi (a ripartizione e a capitalizzazione ai fini del tasso di rendimento che può decidere per uno o per l’altro).

Abbiamo detto che il tasso di rendimento in un sistema a ripartizione è pari al tasso di crescita delle risorse attraverso cui si finanzia la spesa pensionistica.

A questi fini importa di più quello che i due autori denominato come base imponibile, massa salariale, che si identifica con la crescita del Pil (per i notai si potrebbe far riferimento alla loro base imponibile, al loro Pil specifico).

L’aumento dell’età pensionabile aiuta la contabilità dell’Ente erogatore le prestazioni, ma per chi le riceve, e comunque sul lungo periodo, per l’equilibrio finanziario conta maggiormente il Pil e la base imponibile.

Come in parte è fuorviante sostenere che l’ammontare delle prestazioni, in un sistema a capitalizzazione, dipenda dall’entità dei contributi (è sicuramente vero) e trascurare la necessità, come detto, di vendere i titoli e di conseguenza di creare un sistema efficiente di gestione, perché da quello dipendono anche le prestazioni pensionistiche, così in un sistema a ripartizione conta molto il Pil (generale e di categoria) e non solo l’età pensionabile.

Potrebbe essere il caso, piuttosto, di verificare l’opportunità di affiancare (per rimanere al caso “notai“) ai contributi commisurati al numero o tipo di atti ( Pil specifico di categoria) anche il fatturato. Fatturato come criterio aggiuntivo anche per cogliere una migliore radiografia della categoria. Oppure calibrare e agire sul tipo degli atti. Per esempio perché considerare in modo uniforme molti atti societari o verbali assembleari e non differenziare i contributi (e gli onorari) in base al verbale assemblare (ordine del giorno) in modo maggiore di quanto avviene?

Comunque proseguiamo con le differenze in generale tra i due sistemi, per scendere poi ad alcune considerazioni “notarili“.

Vedremo come l’analisi dei due sistemi conduca a preferire il sistema a ripartizione rispetto a quello a capitalizzazione, comunque a considerarlo il meno peggio. Anche a sfumare molte contrapposizioni.

Prima di tutto, al di là della diversa volatilità del tasso di crescita del PIL (quello generale dal quale dipende il numero degli affari ,potremmo aggiungere quello specifico notarile legato al numero degli atti e alle competenze più o meno esclusive) e del rendimento offerto dai mercati finanziari (dove il secondo è caratterizzato da fluttuazioni ben più ampie), il confronto fra il tasso di crescita del PIL (che approssima, come detto, il rendimento della ripartizione) e rendimenti dei mercati finanziari, non è sufficiente per giungere ad una conclusione positiva circa la convenienza della capitalizzazione rispetto alla ripartizione.

Tralascio il discorso sul c.d. costo di transizione da un sistema all’altro perché, francamente, non mi è chiaro come in ambito notarile lo si voglia affrontare per quanto riguarda la sostenibilità finanziaria.

In termini generali c’è chi ha mostrato molto scetticismo (M .Raitano) perché per reperire le risorse per pagare questo costo di transizione ovvero le pensioni da erogare agli anziani e non più finanziabili con i contributi dei giovani (che accumulerebbero ora risorse in conti individuali), si evidenzierebbero le difficoltà legate alla necessità di finanziare la transizione che sarebbe onerosa (se la si finanzia in debito o potrebbe penalizzare le generazioni attive se la si finanzia tramite imposizione fiscale). Ma questo è un discorso generale, anche in parte applicabile alla categoria notarile ma che richiede verificare come in concreto si vuole effettuare questa transizione.

Veniamo al cuore del problema.

Coloro che criticano il metodo a ripartizione, in genere, mettono in evidenza i rischi derivanti dall’invecchiamento demografico, mentre tale rischio non sussisterebbe laddove la spesa fosse finanziata a capitalizzazione.

In realtà, come vedremo, anche il sistema a capitalizzazione è influenzato dal rischio demografico ed entrambi i sistemi dipendono piuttosto dal livello del reddito aggregato.

Per il discorso più strettamente notarile, a proposito del rischio demografico, si è messo in evidenza da alcuni anche il rischio connesso alle pensioni di reversibilità a favore di coniugi del notaio, coniugi particolarmente giovani o che comunque avrebbero un’aspettativa di vita lunga, come del resto gli stessi notai.

L’equilibrio finanziario degli schemi a ripartizione, basati sul legame intergenerazionale, si fonda sull’eguaglianza in ogni periodo di tempo tra contributi incassati e prestazioni erogate a parità di livello di prodotto per lavoratore e tale equilibrio dipende dalla composizione per età della popolazione ed è sensibile alle trasformazioni demografiche. Per questo, in presenza di una maggiore longevità si cerca di ristabilire l’equilibrio finanziario.

Nel caso di alterazione, si ricorre ai classici metodi di aumentare l’aliquota contributiva, ritardare l’età pensionabile o ridurre l’importo delle pensioni in pagamento.

Al contrario i sistemi a capitalizzazione, essendo basati sull’accumulo di risorse (abbiamo visto che è così solo in parte) anziché sul trasferimento di reddito da parte della popolazione attiva, sembrano scindere il legame intergenerazionale e sembrano apparentemente immuni dall’evoluzione demografica.

In realtà le differenze sono più che altro apparenti.

Al di là del metodo di finanziamento adottato, ogni sistema pensionistico dipende in modo cruciale non dalla composizione della popolazione, dall’andamento demografico, ma dal livello del reddito aggregato, dal PIL (quello generale del paese o quello specifico di categoria).

Il vero rischio per i sistemi previdenziali, più che quello demografico, consiste nella riduzione del prodotto potenziale.

I lavoratori possono assicurarsi da anziani mediante lo scambio di parte della produzione corrente con un diritto, comunque aleatorio, sulla produzione futura; i sistemi a ripartizione e a capitalizzazione differiscono soltanto nel modo in cui si fa valere tale diritto, dato che, in ognuno di essi, le possibilità di consumo degli anziani dipendono sempre dal reddito corrente. Nella ripartizione, in cambio della cessione ai pensionati di parte del prodotto corrente, si promette ai lavoratori che da anziani riceveranno un analogo trasferimento dalla futura generazione di lavoratori; nella capitalizzazione, invece, si accumula un risparmio patrimoniale che verrà poi scambiato con la produzione futura” (M. Raitano).

Anche gli schemi a capitalizzazione rappresentano un modo per ottenere diritti sulla produzione futura.

Infatti nella ripartizione il trasferimento di reddito dai lavoratori ai pensionati è diretto e lo stato mediante il proprio potere coercitivo tassa un gruppo di individui e ne sussidia un altro

Nella capitalizzazione è invece indiretto mediante lo scambio di titoli tra pensionati e lavoratori. Perciò dal punto di vista macroeconomico, quale che sia il metodo di finanziamento il sistema previdenziale trasferisce sempre agli anziani parte del reddito corrente. Qualunque sia il metodo di finanziamento, il sistema previdenziale trasferisce sempre agli anziani parte del reddito corrente e la distribuzione intertemporale del reddito individuale assume la forma di una distribuzione del reddito corrente fra pensionati e attivi.

Nonostante il metodo di finanziamento a capitalizzazione metta in maggior risalto l’aspetto intertemporale del risparmio individuale ,mediante l’accumulazione dei contributi in conti individuali, e quello a ripartizione evidenzi in modo immediato la redistribuzione del reddito corrente fra le diverse generazioni ,il funzionamento di entrambi i metodi è vincolato dall’ammontare del reddito correntemente prodotto .Che deve esistere :deve crescere il Pil generale (che dipende anche dal numero di giovani e da altre condizioni macroeconomiche) e deve soprattutto crescere quello di categoria,si potrebbe dire!

Perciò in presenza di una riduzione del prodotto corrente, indotta dall’andamento demografico, ma anche da altre cause (sottrazione di competenze per i notai o diminuzione degli affari) i crediti pensionistici acquistati in passato dagli anziani si rivelano incompatibili con il livello di reddito corrente.

Nella capitalizzazione, la riduzione delle prestazioni pensionistiche non discenderebbe da modifiche delle regole pensionistiche (come nella ripartizione) ma attraverso l’andamento della domanda e dell’offerta di titoli nei mercati finanziari: sarebbe più subdola.

Anche la capitalizzazione è influenzata dal rischio demografico, in generale ma anche in particolare di quello notarile anche se in modo più subdolo. Gli anziani che hanno accumulato in conti individuali ricevono pensioni vendendo i titoli accumulati. Ma se diminuisce il numero dei giovani o diminuisce il prodotto totale, diminuirà la domanda di titoli e gli anziani che vendono titoli a un prezzo più basso scopriranno che si riduce (come avverrebbe nella ripartizione) il proprio potere di acquisto. Certamente si può replicare che in un sistema a capitalizzazione si può investire nell’acquisto di titoli anche all’estero, in paesi che demograficamente non sono in crisi e in questo modo isolare i pensionati dagli inconvenienti dell’invecchiamento o della caduta del prodotto nazionale o di quello di categoria. Ma investire in titoli dei paesi in via di sviluppo, in paesi esteri crea quell’aspetto visto sopra legato al fatto che le pensioni dipenderanno di più dalle modalità gestionali degli Enti, dalla loro dinamicità (dovrà forse cambiare il tipo di preparazione dei suoi componenti), perché c’è il rischio che per cautelarsi contro la possibilità di riduzione del prodotto nazionale o di categoria si finisca per ampliare i rischi finanziari.

I sistemi a capitalizzazione espongono inevitabilmente i partecipanti ai rischi derivanti dalle oscillazioni dei mercati finanziari soprattutto quando si segue una formula di calcolo a contribuzione definita.

Gli schemi a ripartizione non sono influenzati da skock di natura finanziaria dato che i contributi raccolti, in via di principio non sono investiti nei mercati di capitali. Se lo fossero, come avviene in certe Casse previdenziali occorre una normativa stringente di controllo ma questo non fa altro che ridurre le contrapposizioni tra i due sistemi. Con una preferenza sempre, però per quello a ripartizione perché nell’altro la gestione dei mercati finanziari e la gestione finanziaria è più accentuata, perché le pensioni dipendono da quella più che dall’accumulo nei conti individuali.

Ogni sistema previdenziale, anche di tipo totalmente privato, è influenzato dalle decisioni dell’operatore pubblico ed è esposto al rischio politico.

Anche per questo aspetto la differenza tra sistema a capitalizzazione e a ripartizione è stata enfatizzata. Lo Stato regola da sempre i fondi pensione privati a capitalizzazione e può alterare con la propria azione (anche tramite la tassazione dei redditi da capitale) i risultati degli investimenti finanziari. Perciò non è che il sistema a capitalizzazione sia più immune di quello a ripartizione dall’influenza del decisiore pubblico.

II- Paragrafo. Il metodo di calcolo

Abbiamo visto nell’introduzione che bisogna tenere distinto il discorso tra il metodo di finanziamento, il metodo di calcolo, che i due aspetti sono indipendenti.

La prestazione pensionistica può essere calcolata in base a due modalità differenti.

-Negli schemi a contribuzione definita si stabilisce unicamente l’ammontare dei contributi da versare e non l’entità della prestazione che dipende da quanto si è versato e dal tasso di rendimento incerto che viene corrisposto sui versamenti contributivi .Nei sistemi a contribuzione definita ,spesso applicati ai sistemi a capitalizzazione (come nei fondi pensione privati italiani) i versamenti contributivi sono investiti sul mercato e quindi la pensione dipende dall’andamento dei titoli in cui si investe :ci si espone al c .d .rischio di mercato. Perciò la pensione viene a dipendere dal successo degli investimenti finanziari: è questo che si vuole per un’intera categoria o questo metodo di calcolo non è preferibile quando vi sono fondi pensione privati che non riguardano intere categorie dove è obbligatorio farne parte?

In Italia la riforma del 1995 all’interno dello schema pubblico a ripartizione ha introdotto lo schema a contribuzione definita. E’ vero. Però, per attenuare i rischi, il saggio di rendimento offerto sui contributi non è dato dal rischioso saggio di mercato (anche perché in un sistema a ripartizione i contributi non sono investiti sul mercato, ma per la Cassa dei notai il discorso potrebbe essere parzialmente diverso…) ma dall’andamento più stabile e meno incerto di alcune variabili: in pratica l’andamento del PIL nel quinquennio precedente (vedi la nozione di rendimento nozionale -NDC-detto in Italia sistema contributivo)

Cioè da una parte ritorna il Pil, ma dall’altra è difficile ogni discorso su una contrapposizione tra sistema a ripartizione e sistema a capitalizzazione se non si approfondisce anche se all’uno o all’altro sistema si vuole collegare il metodo di calcolo a contribuzione definita o a prestazione definita, entrambi possibili.

-Lo schema di calcolo a prestazione (o beneficio) definita, a differenza di quello a contribuzione definita vista sopra, si caratterizza perché l’incertezza della pensione riguarda solo la futura carriera individuale ma non variabili esogene rispetto all’individuo (come la crescita del Pil o il rendimento dei mercati finanziari).

E’ a prestazione definita uno schema in cui la pensione sia una certa percentuale prestabilita del salario di fine carriera o in cui i contributi sono versati sul mercato (se il finanziamento è a capitalizzazione) ma sui versamenti è applicato un tasso di rendimento certo e prestabilito.

Una pensione di base calcolata su età e anni di lavoro è da includere tra quelle a beneficio definito. Sino al 1995 le pensioni in Italia venivano calcolate nell’ambito di un sistema a ripartizione con uno schema a benefici definiti (pensione retributiva cioè una media delle retribuzioni di fine carriera). Oggi nell’ambito del sistema a ripartizione si adottala formula a contribuzione definita (temperata come detto) e non a prestazione o beneficio definito.

Per il notariato sarebbe un punto da chiarire

In uno schema a contributi definiti la pensione futura dipende da quanto si versa nell’intera vita lavorativa e, di conseguenza, è assente ogni forma di solidarietà e redistribuzione tra individui e di copertura assicurativa contro le variazioni del reddito individuale nel corso della vita attiva.

Uno sistema a beneficio definito, al contrario, può prevedere forme di redistribuzione e può fornire un’assicurazione implicita sui redditi da pensione (anche all’interno di uno schema a capitalizzazione, laddove il gestore del fondo offra un tasso di rendimento garantito sui contributi versati). Per esempio sistemi di calcolo che legano la rendita previdenziale al reddito medio dei migliori anni lavorativi, assicurerebbero gli individui contro il rischio di disoccupazione e riduzioni salariali temporanee a inizio carriera.

Al contrario, formule che prevedono tassi di sostituzione inversamente proporzionali al reddito individuale possono rendere redistributivo il sistema pensionistico.

Con più difficoltà questi ragionamenti possono essere applicati ai notai? Fino a un certo punto….

Comunque è evidente che concentrarsi solo sul metodo di finanziamento (a capitalizzazione o a ripartizione, quest’ultima per me preferibile) senza allargare il discorso alla formula di calcolo, lascia il discorso a metà.

III- Paragrafo. Sistema pubblico /Sistema privato

La divisione fra sistema pubblico e privato, in realtà e in generale non è così netta come appare a prima vista. Ben diverso è l’impatto e la dimensione del settore pubblico che può limitarsi a fornire una pensione di base per tutti che aiuti a non correre il rischio di povertà da anziani o può prevedere elevati contributi e alte pensioni legate anche alla carriera lavorativa individuale e questo influenza lo spazio che si offre a forme di previdenza complementari private.

Ma quest’ultimo aspetto è meno rilevante per la categoria notarile perché il ruolo centrale della Cassa non è mai stato in discussione.

IV- Paragrafo. Il sistema PAYGO e il sistema FUNDED

Pertanto abbiamo visto che nel modello organizzativo della sicurezza sociale esiste un sistema pubblico definito a ripartizione (nell’acronimo inglese PAYGO: pay as you go) nel quale i giovani lavoratori di ciascuna generazione versano al sistema pensionistico (nazionale) una contribuzione obbligatoria (anche per i notai funziona allo stesso modo) che lo Stato impiega per finanziare le pensioni della precedente generazione. Il pensionato è come se ricevesse una sorta di rendita vitalizia dal giovane lavoratore.

Il sistema PAYGO si contrappone al sistema FUNDED dove l’investimento nel mercato finanziario del proprio risparmio fa si che i lavoratori vendano ai pensionati, in senso figurato, parte del reddito che hanno risparmiato.

Infatti le attività finanziarie possedute dai fondi pensione, una volta investite, servono ai pensionati per acquistare i beni prodotti dai lavoratori attivi.

Ma comparando i due sistemi, oltre alle differenze, quali sono i pregi e le superiorità dell’uno sull’altro? I due sistemi fanno riferimento su due variabili chiave: il tasso di interesse (r) e il tasso di crescita (g).

L’economista Peter Diamond mette in evidenza come in un sistema pensionistico la ricchezza -W- può essere rappresentata come il reddito salariale (per i notai è facile trasporre il concetto).

Perciò, la soluzione del modello di massimizzazione, evitando complicate formule matematiche (che chi è interessato così come per il precedente teorema di Aaron e Samuelson può trovare nella bibliografia citata), fa si che la ricchezza risulti determinata in funzione del tasso di interesse (r) e del tasso di crescita dell’economia (g).

Il sistema PAYGO risulta più vantaggioso per i soggetti rispetto al sistema FUNDED se il tasso di crescita (g) è superiore al tasso di interesse (r) che si ottiene con l’investimento in un fondo pensione; è invece più svantaggioso nel caso in cui g<r.

Pertanto se g= r il sistema PAYGO è equivalente al sistema FUNDED.

In altre parole, se il tasso di crescita, la somma della crescita della popolazione e del salario, è eguale al tasso di interesse, il sistema a ripartizione non è né più nė meno efficiente del sistema a capitalizzazione.

Proseguendo nell’analisi si è arrivato a dimostrare che quando il tasso di interesse e il tasso di crescita sono eguali i due sistemi danno luogo allo stesso livello di pensione pro capite (Francesco Farina).

Pertanto, bisogna, da una parte non tanto e non solo attenuare le differenze tra i due sistemi, a parte una contrapposizione ideologica tra solidarietà intergenerazionale contrapposta ad individualismo, quanto, dall’altra parte, avere consapevolezza dell’importanza del tasso di crescita, come sopra indicato, anche per il sistema FUNDED, a capitalizzazione.

Infatti in generale è stato cocluso che se “in un’elezione politica i programmi dei partiti prospettassero l’alternativa fra i due sistemi, la preferenza degli elettori a favore dell’uno o dell’altro dovrebbe basarsi sull’aspettativa dell’evoluzione futura del ‘tasso di rendimento interno‘ del sistema a ripartizione e del tasso di rendimento che nel mercato dei capitali è realizzato dal fondo pensionistico a capitalizzazione“.

Comunque è sempre essenziale una politica, anche di categoria, diretta a rinvigorire la crescita (quindi il gettito fiscale).

Quali sono le vulnerabilità dei due sistemi?

Il sistema PAYGO (seguendo lo slogan “meno ai padri più ai figli“, secondo il profilo dell’equità, cioè seguendo l’obiettivo di tagliare le pensioni per realizzare un’equità intergenerazionale, anche se applicare l’analisi costi – benefici all’equità intergenerazionale, lo vedremo nel prosieguo, non è facile ) sconta :

a) il basso tasso di crescita economica (a causa di un numero di ore di lavoro in diminuzione, il declino del montante contributivo),

b) la sostenibilità finanziaria (legata ad un allungamento della speranza di vita e del periodo temporale in cui mediamente la popolazione anziana deve ricevere il trattamento pensionistico, a fronte di una contribuzione da parte giovanile che tende a decrescere e, per certi versi, la maggiore speranza di vita consente a persone benestanti o ricche, come molti possono considerare i notai che hanno usufruito di anni di lavoro nei quali i ricavi erano notevoli, di godere di un reddito pensionistico per un periodo di vita più lungo dei poveri o delle future generazioni, configurando un processo implicito di ridistribuzione regressiva) Il sistema FUNDED è esposto a tre rischi:

a) il ristagno della crescita della produttività e del reddito (la redditività dei fondi pensione può venire compromessa dalla cattiva performance delle attività finanziarie acquistate dal fondo);

b) il rischio di instabilità dei mercati (l’elevata volatilità dei prezzi delle attività finanziarie può incidere negativamente sulla raccolta del risparmio per cui l’area della svalutazione del beneficio pensionistico al momento della conversione del montante in annualità di pensione aumenta e il beneficio che il pensionato finisce per ricevere è inferiore alle attese;

c) i comportamenti di azzardo morale o addirittura fraudolenti, dovuti all’asimmetria informativa tra gestore del fondo e risparmiatore che può ripercuotersi sulla gestione del patrimonio del fondo.

Il punto debole del sistema a capitalizzazione consiste nell’assenza di garanzie sul mantenimento in vecchiaia del livello di benessere goduto durante il periodo di lavoro. Infatti la recente crisi finanziaria è stato un banco di prova per le pensioni private.

Nei sistemi a capitalizzazione la ricchezza previdenziale è stata falcidiata: tra ottobre 2007 e ottobre 2008, il rendimento medio dei portafogli bilanciati (con investimenti sia in azioni sia in obbligazioni) dei fondi privati è variato del -10%in Polonia, Svezia e Svizzera e del -20% in Austria, Cile e Islanda.

Il sistema FUNDED soffre a causa delle crisi finanziarie.

La sostenibilità del sistema PAYGO è indebolita da tassi di crescita del Pil poco superiori allo zero.

Ma anche il sistema FUNDED ha in gran parte lo stesso problema che si manifesta in caso di crisi finanziaria. La sostenibilità del sistema FUNDED dipende anche dall’andamento del valore di mercato dei fondi pensionistici. La sostenibilità è indebolita quando i rendimenti dei titoli in portafoglio diventano esigui. Molti fondi pensione privati non riescono oggi a ottenere un soddisfacente rendimento dei portafogli delle azioni e delle obbligazioni acquistate per i loro clienti.

Il sistema a capitalizzazione prevede dei contratti privati a “contributo definito“ oppure a “beneficio definito“.

La differenza, come già detto, è notevole.

Nel contratto a contribuzione definita (CD), dove quanto si versa è certo, mentre l’importo della pensione è definito dal gestore, il rischio sull’importo della pensione è a carico del lavoratore.

Nel caso di beneficio definito, per la loro sostenibilità, bisogna individuare l’aspettasti va di vita e la diversa durata del periodo lavorativo delle varie coorti che giungono all’età del pensionamento.

Problema quest’ultimo meno grave per il notariato.

In generale quanto più elevata è la percentuale di contratti a beneficio definito (BD) tanto maggiore è il rischio di dovere ricorrere alla bancarotta per sfuggire ad una crisi causata dal basso rendimento del portafoglio. Nel caso si combinassero in maniera perversa il sistema a capitalizzazione con il sistema di contratti a beneficio definito.

Perciò sciogliere il nodo tra sistema di contratti a beneficio definito o a contribuzione definita è essenziale e si interseca con i sistemi di finanziamento PAYGO (a ripartizione) e FUNDED (contribuzione).

Negli USA, a proposito del sistema di contratti a beneficio definito insieme al sistema di finanziamento FUNDED, molte imprese hanno adottato la strategia di aumentare la rischiosità del portafoglio e si sono rivolte ad hedge funds.

Molti fondi hanno, perciò, smesso di offrire contratti a beneficio definito e sono passati all’offerta di contratti a contributo definito, trasferendo così il rischio sui lavoratori che vanno in pensione.

La prestazione pensionistica PAYGO si intreccia sotto vari profili con l’equità intergenerazionale.

Si definisce attuarialmente equo in termini intergenerazionali un sistema a ripartizione che non genera un processo di ridistribuzione fra le generazioni.

Ciò accade quando il sistema è concepito in modo tale da fare si che su base probabilistica – considerando cioè la speranza di vita del soggetto- il valore attuale delle contribuzioni erogate durante il periodo lavorativo, e il valore attuale dei benefici goduti durante gli anni del pensionamento, si eguaglino.

In alcuni paesi (ad esempio i Paesi Bassi), l’adozione di un sistema attuarialmente neutrale è stata decisa allo scopo di combattere gli incentivi perversi che sono all’origine del pensionamento anticipato. Se dei gruppi di lavoratori hanno convenienza ad anticipare l’uscita dal lavoro, un sistema può risultare attuarialmente equo ma non attuarialmente neutrale. Il sistema è infatti attuarialmente neutrale quando il valore presente dei benefici futuri è in ogni periodo tale da escludere una convenienza ad andare in pensione a una certa data piuttosto che a un’altra. Il sistema a capitalizzazione a differenza di quello a ripartizione, non rischia la non-equità intergenerazionale in quanto il rapporto contribuzione/ benefici è completamente individualizzato.

Alcuni fattori da cui pensioni e debito pubblico dipendono sono comuni.

Il problema del sistema pensionistico si intreccia con quello del debito pubblico.

Ne parlo solo per far notare come sia importante in ultima analisi il Pil, quello generale o di categoria come ho detto.

I deficit pensionistici assieme alle cadute del tasso di crescita del Pil tendono a riflettersi in un aumento del debito pubblico. La pandemia ha accresciuto il rapporto debito pubblico/ Pil e ha aggravato o può aggravare lo squilibrio sia del sistema PAYGO (a causa del calo delle entrate contributive) sia del sistema FUNDED (a causa dei minori versamenti ai fondi e dell’impatto della riduzione dei rendimenti finanziari sul valore del montante accumulato).

In definitiva, il nesso fra sistema PAYGO e debito pubblico risiede nel problema della sostenibilità: la bassa produttività e la bassa natalità di un paese, nel rallentare la crescita del Pil, costituiscono il fattore decisivo per la sua sostenibilità.

Però il trasferimento del debito pubblico da una generazione all’altra viene presentato nei termini di un automatico trasferimento del debito contratto dai genitori ai figli, il che farebbe ridurre il benessere dei secondi.

Ma questa impostazione non è corretta.

Al netto della quota titoli detenuta da soggetti esteri, infatti, il debito pubblico che in un Paese gli economisti ritengono vada a gravare “sulle spalle“ della generazione futura non è altro che la ricchezza in titoli di debito pubblico che finisce “nelle tasche“ della generazione futura, lasciando immutato il benessere aggregato , compreso probabilmente quello dei neonati (Francesco Farina).

Persino Vitor Constâncio, vice presidente BCE sino al 2018, ha messo in luce a proposito della questione del debito pubblico quale fardello sopportato dai giovani, che “in futuro, quando l’importo monetario dei titoli in scadenza verrà restituito, alcuni membri della generazione futura pagheranno delle tasse (se occorrerà emettere nuovo debito pubblico), mentre altri membri di quella generazione riceveranno il denaro dei titoli che sono scaduti. Non c’è alcun fardello a carico della generazione futura“.

Nella visione keynesiana, poi, ogni vecchia generazione di un Paese lascia in eredità alla nuova generazione i nuovi beni pubblici realizzato dal settore pubblico e i nuovi beni meritori realizzati dalle istituzioni del Welfare. Se le pensioni dei figli saranno superiori o inferiori rispetto a quelle dei loro padri dipenderà in gran parte dalla dinamica del Pil di una generazione all’altra. E questo vale anche per i problemi di una specifica categoria.

Certamente il fenomeno degli anziani e della loro assistenza si avvia verso una prospettiva esplosiva sia per gli oneri economici sia per le insufficienti prestazioni.

In Italia la situazione tendenzialmente esplosiva è testimoniata dell’evoluzione demografica ed è chiara.

Il superamento del confine simbolico dei 400mila nati anno era previsto dall’Istat per il 2032. Già nel 2021 ci si fermerà a 396mila, come se la pandemia ci avesse tolto 12 anni di curva demografica.

La quota della popolazione al di sopra dei 65 anni sul totale dovrebbe raggiungere nell’Unione Europea il 23,9% nel 2030 (era il 19,8% nel 2015).

In U. S. A, gli anziani costituiscono il 13% della popolazione ma rappresentano il 20% di tutti i suicidi con una frequenza dei suicidi negli uomini anziani di 5,25 volte maggiore rispetto donne anziane. Frutto di solitudine e di un’organizzazione sanitaria che tende a non offrire trattamenti per la depressione ai pazienti anziani rispetto ai più giovani.

Almeno nei Paesi avanzati sotto il profilo finanziario lo stock di ricchezza, nella cui quota di ricchezza finanziaria c’è anche il debito pubblico, è molto concentrato presso i ricchi, una certa quota dei quali sono pensionati.

Questo suggerisce di guardare, circa il vero aspetto rilevante del debito pubblico, alla sua distribuzione fra le persone. Il fardello del debito pubblico che grava sulle spalle di ogni neonato, come spesso si dice anche a proposito della sostenibilità di un sistema PAYGO rispetto a uno FUNDED, diventa un’espressione in parte ideologica.

I neonati, come dice “la lotteria della vita“, sono tutto diversi tra loro.

La trasmissione intergenerazionale del debito pubblico è un problema di equità intergenerazionale, perché si connette ad un ammontare di eredità lasciato dai genitori ai figli che è molto differente fra famiglie ricche, del ceto medio, e dei poveri.

Secondo un’indagine della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie, pubblicata nel 2018, mentre il 30% delle famiglie più povere possedeva solo l’1% della ricchezza esistente nel Paese nel 2016, ben il 75% era detenuto dal 30% di famiglie più ricche (se da questo 30% si scorpora il 10% delle famiglie più ricche la percentuale è del 44%; se si scorpora il 3% di famiglie super ricche la percentuale scende di poco :43%).

La questione questione dell’equità della trasmissione intergenerazionale del debito pubblico è un aspetto della questione dell’equità interpersonale della distribuzione della ricchezza e in sintesi il problema del debito pubblico per concludere a favore o contro un certo sistema pensionistico non è tanto il suo ammontare, la cui sostenibilità va valutata in relazione alla crescita del Pil, ma questo vale per entrambi i sistemi, ma la tendenza del suo incremento ad accentuare la concentrazione della ricchezza presso i ricchi e la classe media più agiata; in assenza di politiche di ridistribuzione dei patrimoni, tale concentrazione rappresenta un impedimento per le politiche pubbliche di perequazione del reddito e del benessere.

Ma quanto alla crescita del Pil, elemento essenziale, naturalmente bisogna tenere conto ed evitare, sia per il sistema PAYGO sia soprattutto per quello FUNDED, che si ripeta il fenomeno statunitense della diseguaglianza reddituale e della diseguaglianza.

Se è vero che “negli Stati Uniti il 91% dell’incremento del Pil fra il 2009 e il 2012 è andato al top 1%, sicché per quasi tutti gli altri americani la ripresa economica non c’è stata “(Stiglitz J. E, Fitoussi J- P, Durand M. 2019b, “For good measure. The global movement for Well-Being. The New Press. New York).

Inoltre è da considerare il fenomeno della discesa, che si verifica anche da noi e in Europa dei redditi dei ceti medi (che trova una corrispondenza in una possibile discesa dei redditi notarili e/o una loro forte diseguaglianza o cattiva distribuzione).

Se è vero che l’Europa condivide con gli altri Paesi avanzati il fenomeno della perdita di quota di reddito della classe media: negli ultimi decenni il reddito mediano ha subito una progressiva discesa rispetto alla crescita del 10% più ricco della popolazione, essendo aumentato di meno del 140% dal 1985, a fronte di un incremento del Pil superiore al 160%.

Se è vero che dall’8% degli anni settanta e ottanta, la quota di reddito dell’1% più ricco è cresciuta nel 2019 all’11% nell’Europa occidentale e al 20% negli Stati Uniti e il 50% più povero della popolazione che nel 1980 riceveva in entrambe le aree il 20% del reddito, ha avuto un progressivo declino della propria quota, che nel 2015 è stata pari al 12,5% negli Stati Uniti e al 18% in Europa occidentale.

Se è vero che conta sempre di più il reddito mediano e che certi dati che emergono dalle dichiarazioni dei redditi dei notai (apparentemente floride) sono, al contrario, preoccupanti per la diseguaglianza e la forte cattiva distribuzione dei redditi che emerge e che con un sistema FUNDED può diventare pericolosa non solo per la coesione della categoria ma anche per gli effetti verso il pubblico e i clienti e anche la distribuzione territoriale della categoria.

Infatti, da una parte, esiste sempre più una distanza tra le statistiche pubbliche e quello che la popolazione percepisce. Questo per una serie di sbagli voluti.

Per esempio:

A – Il reddito mediano è quello che si trova al centro della distribuzione del reddito B-Il reddito medio è quello che si calcola dividendo il reddito totale di un paese per il numero di abitanti o di nuclei familiari (nel caso di reddito familiare medio) che lo compongono. Non è la stessa e gli sbagli interessati ci sono.

a – Se metà della popolazione guadagna tra 0 e 10 e l’altra metà tra 11 e 100, il reddito medio è 30,25 ma non corrisponde al reddito di nessuno o di quasi nessuno.

b – Il reddito mediano sarebbe quello rispetto al quale il 50% guadagna di meno e il 50% di più: perciò il reddito mediano sarebbe 11 nel nostro caso Se la metà più ricca raddoppia il suo reddito, il reddito medio arriva a 55,25 ma quello mediano rimane invariato.

La crescita del reddito medio sarà del 82,6% ma per una metà della popolazione è stato zero.

Negli USA il reddito mediano risulta un po’ inferiore a quello del 1997 ma il reddito medio è aumentato del 60%.

Ma conta quello mediano e non il medio per le persone.

I dati statistici sono medie e una media è rappresentativa se è bassa la dispersione degli individui intorno alla media, ma quando una metà della popolazione attiva a 10 e l’altra metà sta tra 11 e 100 ad essere ottimisti la media non funziona più perché non rappresenta la situazione della maggior parte, dei più.

Quando vi è forte dispersione, diseguaglianze, il concetto di media e reddito medio ha poco senso.

L ‘unico che avrebbe senso è quello di reddito mediano, perché metà o anche oltre della popolazione non solo non vede mai il reddito medio ma neanche vedrà mai alcun aumento medio perché questo è imputabile solo alla seconda metà Venendo ai NOTAI IN PARTICOLARE.

Secondo l’Agenzia delle Entrate, dati 2013, il 53,4% dei notai ha un reddito di 47.079 euro e più della metà di questo 53,4% e cioè il 27% del totale ha realizzato nello stesso 2013 un reddito netto di 22.415, pari a 1867 euro al mese. Questo è possibile proprio perché bisogna rifarsi al concetto di reddito mediano e non a quello medio. Infatti il ragionamento fatto in termini generali si applica anche ai notai.

A – Quello che conta non è il reddito medio ma quello mediano.

-Se ci sono ad esempio 5000 notai e la loro metà (2500) incassa 40.000 euro quello è il reddito mediano.

Se della rimanente parte (2500), mille incassano 500.000 euro e altri 1500 ne incassano 100.000, si avrà un reddito totale di 750.000.000 (cioè i centomila euro incassati dalla metà dei notai a 40.000 ciascuno + i 500.000.000 incassati dai mille + i 150.000.000 incassati dai 1500).

– Il reddito medio sarà di 150 mila euro (750.000.000 per 5000 notai) reddito che nessuno o quasi vede.

Non lo vedono nè la metà che incassa i 40.000 (reddito mediano) né i 1500 che incassano centomila.

Neanche i fortunati mille perché ne incassano di più.

B – Ora se il reddito dei mille da 500.000.000 aumenta a 600.000.000 loro incasseranno 600.000.000 e il reddito medio andrà a 170.000 euro ma la metà dei notai, anche di più, non avrà visto è mai vedrà.

Quando ci sono forti diseguaglianze, la media non funziona più perché non rappresenta i più.

In una categoria, come in un paese, la metà della popolazione guadagna 11 o, da noi, 100.000.000, reddito mediano, ma il reddito medio dice molto che guadagna molto di più.

Il concetto di reddito medio, la c.d. media, funziona solo quando non vi è dispersione e i più sono vicini alla media, almeno tendono, senza diseguaglianze enormi.

Perciò il fenomeno della diseguaglianza in generale, della distribuzione dei redditi ha una sua influenza non solo da noi, in Italia e in Europa, ma anche per la categoria e può impattare con il sistema pensionistico Ma questo ultimo discorso, quello della diseguaglianza, molto analizzato in USA da Stiglitz, fuoriesce dall’aspetto strettamente legato al sistema pensionistico di una categoria come quella dei notai e perciò non vado oltre, anche se impatta sul paragone tra sistemi PAYGO e FUNDED.

Circa le criticità per la sostenibilità del sistema PAYGO (ma abbiamo visto che possono essere non minori anche per l’altro, perché ai pensionati quello che importa è alla fine l’ammontare della rendita pensionistica e il secondo sistema può non assicurarla) si sono introdotte riforme a volte che incentivano il pensionamento anticipato nella considerazione che i posti di lavoro per i giovani sarebbero aumentati.

Strategia che ha dato pochi frutti. Ha finito per ampliare il disavanzo pubblico a causa di un aumento della spesa pensionistica che le contribuzioni dei giovani lavoratori non riuscivano a coprire. E così sarebbe anche per il notariato perché l’aumento dei giovani di per se significa poco, se le competenze e quello che ho chiamato il Pil di categoria rimane sempre quello. Nei Paesi dell’Unione europea infatti si è abolito il pensionamento anticipato o lo si è sottoposto a regole stringenti, si è innalzata l’età richiesta per andare in pensione o si è aumentato il numero minimo degli anni di contribuzione. Si sono calcolate le pensioni non più sulla base delle retribuzioni ma con il passaggio al calcolo contributivo. Questo strumento incide tuttavia sulla distribuzione intergenerazionale del reddito. Il principio dell’uguale trattamento – l’equità orizzontale- vorrebbe che sia costante il rapporto pensione / salario. Se però il numero di giovani al lavoro diminuisce, e l’incidenza dei periodi di disoccupazione aumenta, per mantenere costante il rapporto monte pensioni / monte salari, e preservare al contempo la sostenibilità finanziaria del sistema, occorre ridurre il rapporto pensione / salario. Questa strategia, a volte adottata, che comporta un aumento della non – equità interpersonale, crea il fenomeno della riduzione della pensione che colpisce le fasce più deboli della popolazione.

Analoghi fenomeni potrebbero verificarsi per la categoria notarile magari perché all’incidenza di una disoccupazione (di fatto) che aumenta, si sommano gli effetti di un passaggio al sistema contributivo?

Una strada seguita da alcuni governi è stata la costituzione di un fondo pensionistico pubblico dotato di un portafoglio con una ampia quota di attività finanziarie di Paesi emergenti a elevato tasso di crescita, in modo da accrescere le risorse finanziarie da destinare al finanziamento dei benefici pensionistici. Che è un elemento da tenere in particolare considerazione se si sceglie un sistema FUNDED dove acquista molto rilievo l’investimento finanziario che si fa dei contributi.

La difficoltà sta nel trovare le risorse per metterlo in piedi. Oltre che saper valutare bene i rischi finanziari.

Circa le risorse, chi, come la Norvegia, ha creato questo fondo pensionistico pubblico lo ha fatto costituendo un fondo sovrano che vive grazie ai proventi dell’esportazione del petrolio dei suoi giacimenti.

Perciò, come più volte ribadito, se da una parte non si arresta il trend di aumento della diseguaglianza di reddito e soprattutto non si inverte il trend di bassa crescita del Pil (questo è il fattore decisivo, fattore decisivo che per il nostro Paese preoccupante se è vero che nel 2000 il reddito pro capite era del 25% superiore alla media europea e oggi si colloca di cinque punti sotto la media europea), la diseguaglianza di reddito tra gli anziani è destinata ad aumentare.

La crisi dei mercati finanziari del 2008 ha dimostrato che la caduta delle quotazioni ha ridotto il valore del capitale accumulato, rilevando che la stima del tasso di rendimento aggiustato per il rischio era errata.

Pertanto, la pensione (privata) è esposta al rischio insito in un calcolo dei valori degli eventi futuri, che deve fare affidamento sulla proiezione nel futuro dei rendimenti ottenuti negli anni precedenti da un portafoglio composto da titoli con diverso grado di rischio. Non a caso, nei Paesi in cui prevale il sistema a capitalizzazione, si è assistito ad una eliminazione delle pensioni (private) a beneficio definito. In caso di riduzione del tasso di interesse, per finanziare il contributo al proprio fondo privato, il soggetto deve aumentare la propensione al risparmio.

Oggi l’importo medio della pensione PAYGO nei Paesi OECD è di circa il 45%del Pil pro capite. All’interno dell’Unione Europea, i benefici del sistema pensionistico pubblico vanno da un tasso medio di rimpiazzo del salario inferiore al 40% nei Paesi anglosassoni, a tassi che sono arrivati anche al 70%-80% del salario nei Paesi mediterranei. I Paesi dell’Est Europa hanno un valore della pensione in media pari al 70% del salario con una variabilità che va dal 58% della Repubblica Ceca al 90% dell’Ungheria. L’accresciuta volatilità dei mercati finanziari rende molto difficile per le società che gestiscono i fondi pensione privati garantire un adeguato valore del monte pensioni al momento dello smobilizzo. Si è stimato che i fondi pensionistici privati abbiano perso nel 2008 il 23% del loro valore (OECD, 2009); a fine 2015, l’esposizione in questo tipo di titoli ha raggiunto i 6.000 miliardi di dollari, circa il 25% del totale delle attività finanziarie (OECD, 2016)

Conclusioni

Ho voluto condurre il mio discorso su un criterio puramente economico e ho trascurato motivi di equità, tipo violazioni di patti intergenerazionali, o motivi giuridici che possono far riferimento a possibili diritti quesiti o aspettative.

Perciò, oltre a tenere distinti i vari aspetti, che possono combinarsi in modo diverso, personalmente se posso esprimere una preferenza di carattere generale, di tipo economico, se per il sistema di finanziamento sono moderatamente favorevole per quello a ripartizione, soprattutto per i minori rischi gestionali (a parte valutazioni equitative sui patti generazionali da rompere o no).

Circa la formula di calcolo dei benefici, delle prestazioni, oggi è molto in voga la soluzione a contribuzione definita, (anche se temperata nella versione della riforma pensionistica del 1995 e bisogna vedere se può essere applicabile ad un’intera categoria). Non si fa riferimento ,per l’entità della pensione unicamente a quanto si è versato, come nello schema classico di schema a contribuzione definita, integrato da un tasso di rendimento incerto come quello derivante dal fatto che i versamenti contributivi sono investiti sul mercato ma, si fa  riferimento, dal 1995, all’interno dello schema pubblico a ripartizione alla contribuzione definita aggiungendo, però, il termina “nozionale “-NDC, notional defined contribution, in Italia detto contributivo – dove il saggio di rendimento offerto sui contributi non è quello di mercato troppo rischioso ma un tasso nozionale cioè il Pil dell’ultimo quinquennio.

Personalmente sarei favorevole, se possibile allo schema a prestazione o benefico definita, variamente modulabile come sopra indicato con alcuni esempi.

Infatti un sistema pensionistico con un sistema di finanziamento a capitalizzazione (ma anche a ripartizione) e soprattutto  con una formula di calcolo “a contribuzione definita “che legasse l’entità della prestazione pensionistica solo all’entità dei contributi (e avesse un tasso di rendimento legato al mercato o anche al c.d. NDC) creerebbe molti problemi di “convivenza “tra notai ,”tra notai di zone ricche e zone povere del paese ,tra notai ricchi e notai poveri “(spesso senza colpa ) perché la pensione strettamente legata ai contributi favorirebbe fenomeni migratori o di altro tipo.

Nota dell’Autore dell’articolo

Il Passaggio da un sistema ad un altro

Ma al di là della “bontà o efficacia “di un sistema a ripartizione e di uno a capitalizzazione (a parte che bisognerebbe specificare se vengono accompagnati da un sistema di calcolo della pensione secondo il modello della contribuzione definita o secondo il modello della prestazione definita ) il passaggio da un sistema all’altro (in particolare da uno a ripartizione ad uno a capitalizzazione ,perché questo è il tema ) è indolore o piuttosto non presenta dei problemi difficili  da sormontare ? Addirittura tali da sconsigliare tale passaggio ,al di là dell’efficacia di un sistema sull’altro ?

Il sistema a capitalizzazione ,si afferma ,avrebbe pure il pregio ,una volta a regime ,di favorire il risparmio e la formazione ,di conseguenza ,dello stock di capitale .

E’ vero ?E’ sempre vero ?Comunque lo sarebbe a regime e nel frattempo ,durante il percorso ?

Circa l’aspetto propriamente notarile potrò fare solo delle induzioni derivate da considerazioni generali ,induzioni relative alla sostenibilità per la Cassa del Notariato nell’affrontare tale passaggio o per i singoli notai . Semplici supposizioni  perché non è stato mai approfondito ,mi sembra ,il tema di come dovrebbe essere effettuato questo passaggio .

Appunto il problema del passaggio .

Vediamo .

La previdenza nell’U.E ha assorbito  in media il 44%del totale delle spese di protezione sociale (in Italia ha assorbito circa il 58%).

I sistemi son due :a ripartizione (il sistema ripatisce i contributi tra i pensionati e quanto ricevono dipende dall’andamento demografico e dal rapporto tra pensionati e lavoratori ),a capitalizzazione (i pensionati ricevono non solo e non tanto da quello che hanno accumulato in conti individuali ma le pensioni dipendono dal tasso di rendimento delle attività finanziarie detenute dal fondo).

Tradizionalmente si afferma che :

-nel sistema a capitalizzazione ,i lavoratori risparmiano perché prevedono di riscuotere delle indennità al termine della propria carriera .Il sistema di sicurezza sociale risparmia per loro conto investendo i contributi in attività finanziarie; la presenza di un sistema di previdenza sociale modifica la composizione del risparmio complessivo :si riduce il risparmio privato ed aumenta quello pubblico e ,in prima approssimazione, non si ha alcun effetto sul livello di risparmio globale e quindi sull’accumulazione di capitale.

-anche nel sistema a ripartizione i lavoratori risparmiano meno perché ,di nuovo, prevedono di percepire delle indennità nella fase della pensione ;tuttavia ,in questo caso ,il sistema di sicurezza sociale non risparmia per loro conto :la riduzione del risparmio privato non è compensata da un aumento del risparmio pubblico e il risparmio totale si riduce e ,con esso, l’accumulazione di capitale .

Ciò posto il passaggio da un sistema all’altro non è agevole ,anzi ,tanto e vero che la maggior parte dei sistemi di previdenza hanno caratteristiche che li collocano a metà tra i due sistemi.

Il passaggio da un sistema a ripartizione ad uno a capitalizzazione spesso è auspicato perché ,soprattutto si ritiene che possa determinare un aumento del tasso di risparmio . Tale passaggio potrebbe essere ottenuto investendo ,d’ora in poi, i contributi previdenziali in attività finanziaria ,invece di distribuirli ai pensionati.

Così facendo , il sistema previdenziale accumulerebbe fondi e diventerebbe sostenibile .Martin Feldstein ,dell’università di Harvard, è un sostenitore di tale posizione e ritiene che una tale riforma ,un tale passaggio, potrebbe fare aumentare del 34%lo stock di capitale nel lungo periodo.

Ma si fanno spesso i conti senza tenere conto della realtà.

Sarebbe stata ,magari, una buona idea partire fin dall’inizio con un sistema di accumulazione :ciascun paese avrebbe un maggior tasso di risparmio. Lo stock di capitale sarebbe maggiore ,la produzione e il consumo più alti.

Forse sarebbe stato vero .Forse …..

Ma non si può riscrivere la Storia !

I sistemi attuali hanno permesso trasferimenti ai pensionati e tali promesse vanno mantenute ?

Anche se si rispondesse negativamente ,comunque bisogna tenere conto che ,per passare da un sistema ad un altro ,ad uno a capitalizzazione o accumulazione che dir si voglia , i lavoratori di oggi dovrebbero contribuire due volte :una per finanziare i trasferimenti agli attuali pensionati e un’altra per finanziare il sistema e i propri trasferimenti futuri. Ciò imporrebbe un costo eccessivo sugli occupati attuali ?Dovrebbe essere almeno un passaggio molto lento ?

Consideriamo il caso in cui i lavoratori sia consentito di versare i contributi su conti personali piuttosto che al sistema di previdenza sociale e di prelevare da questi conti durante il pensionamento .Questa proposta aumenterebbe certamente il risparmio privato :i lavoratori risparmierebbero di più.

Ma aumenterebbe il risparmio totale ?

Il  suo effetto totale sul risparmio dipenderebbe da come saranno finanziate le pensioni già promesse ai lavoratori e ai pensionati (anche notai ) correnti .

Se esse fossero finanziate con debito e non con ulteriori imposte (o contributi nel caso dei notai ),allora l’aumento del risparmio privato sarebbe compensato da un aumento del disavanzo (una riduzione del risparmio pubblico). Il passaggio ai conti personali non farebbe aumentare il tasso di risparmio aggregato.

Non oso pensare cosa significherebbe nel caso dei notai un aumento del disavanzo della Cassa del Notariato.

Se ,invece, le pensioni fossero finanziate con maggiori imposte ,o con aumento dei contributi nel caso dei notai, allora il tasso di risparmio aumenterebbe ,ma ,in tale caso ,i lavoratori ,anche i notai di oggi, dovrebbero contribuire sia attraverso i propri conti personali sia pagando più imposte o più contributi .

Pagherebbero due volte ! Tra l’altro in un momento nel quale il reddito ,il Pil notarile non sembra aumentare e anzi sembra fortemente squilibrato con forti diseguaglianze a seconda delle varie zone  .

Perciò se per la sostenibilità ,nel caso come sopra visto  g= r non vi è differenza tra i due sistemi quanto alla sostenibilità ,con  quello a capitalizzazione ,però , non è che i contributi vengano capitalizzasti cioè semplicemente accantonati come fossero messi in un salvadanaio ,ma vengono investiti in attività finanziarie: di conseguenza  molto dipende ,anche per la sostenibilità , da come sono investiti.

Circa il passaggio se anche fosse migliore il sistema a capitalizzazione ( anche se si dovrebbe specificare se accompagnato da meccanismo a prestazione definitiva o a contribuzione definita ) ,il passaggio potrebbe essere oneroso . Troppo

Per via del debito pubblico che ne nascerebbe se finanziato con il debito.

Per via dell’aumento dei contributi o delle imposte ai lavoratori esistenti se finanziato ,questo passaggio , non con il debito ma facendo pagare ( due volte) gli attuali lavoratori

Questo il tema attuale : il passaggio e i suoi costi

Passaggio che potrebbe pure non far crescere il risparmio aggregato come comunemente si afferma.

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Il Rent to Buy, questo sconosciuto. Il Vademecum del Notariato

rent-to-buyLe 10 cose da sapere sul rent to buy

Per informare e orientare i cittadini sul tema il Notariato pubblica:

– un vademecum che spiega, con un linguaggio semplice e chiaro, tutto quello che c’è da sapere sul rent to buy: vantaggi e svantaggi sia per il venditore, sia per l’acquirente e quali sono le tutele previste dalla legge;

– uno dei possibili schemi contrattuali.

 1) Cos’è il contratto di rent to buy?

È un nuovo tipo di contratto in cui si fondono un contratto di locazione e un preliminare di vendita di un immobile. Significa che il proprietario consegna fin da subito l’immobile al conduttore-futuro acquirente, il quale paga il canone; dopo un certo periodo di tempo il conduttore può decidere se acquistare il bene, detraendo dal prezzo una parte dei canoni pagati.

Esempio: Si consideri la vendita di un appartamento per il prezzo di 100.000 euro. Il canone mensile è convenuto in 1.000 euro mensili. Una parte di questo prezzo, ad esempio 500 euro, viene dato per il godimento del bene, come se fosse un normale affitto. E questa parte si “perde”, proprio come in una normale locazione. Il residuo, cioè i 500 euro mancanti, si imputano al prezzo (cioè sono come un acconto sul prezzo di vendita), per cui hanno come effetto quello di ridurre il prezzo finale di vendita. Se dopo 5 anni il conduttore deciderà di acquistare il bene non dovrà pagare 100.000 euro, ma 70.000 euro, perché 30.000 sono già stati pagati con parte dei canoni.

2) Il conduttore è obbligato a comprare la casa dopo il periodo di “affitto”? Entro quale termine potrà decidere di acquistarla?

No, la legge prevede che il conduttore abbia la facoltà ad acquistare il bene, ma non un obbligo.

Ovviamente le parti possono concordare che il conduttore sia obbligato ad acquistare, ma allora il contratto è diverso dal rent to buy.

Il termine entro il quale il conduttore potrà decidere di acquistare la casa è stabilito dalle parti, entro i dieci anni.

3) Quali sono i vantaggi e i rischi per chi vende?

Il vantaggio principale è la possibilità di trovare un numero più elevato di potenziali acquirenti.

Il rischio è che il conduttore decida di non comprare la casa. In tal caso, però, il proprietario può trattenere tutto o parte di quanto è stato pagato (e sarà una somma maggiore rispetto ad un normale canone di locazione). L’altro rischio è quello di trovarsi l’immobile occupato dal conduttore divenuto inadempiente e di dover fare ricorso al giudice per liberare il bene e venderlo ad altri.

4) Il proprietario, in caso di mancato acquisto o di mancato pagamento dei canoni dovrà intraprendere un procedimento di sfratto, con tutto quello che comporta in termini di tempo e di costi?

La procedura non è quella di sfratto, ma di rilascio del bene: molto più breve e meno costosa; ma il tempo di rilascio del bene dipende dai singoli tribunali.

Per poter seguire questa procedura sarà necessario prevedere apposite clausole nell’atto di rent to buy: il notaio saprà dare adeguati consigli.

5) Ci sono altre tutele che il venditore deve adottare?

E’ opportuno che il canone sia più elevato rispetto ad un normale canone di locazione e che la parte dei canoni che il proprietario potrà trattenere nel caso in cui non si arrivi alla vendita siano concordati in modo che il proprietario venga adeguatamente indennizzato per la mancata conclusione di altri affari.

Ciò indica anche la serietà dell’impegno del conduttore all’acquisto del bene.

6) Il conduttore è tutelato?

Si. La legge prevede la trascrizione nei registri immobiliari del contratto di rent to buy, che consentirà al conduttore di acquistare il bene libero da ipoteche, pignoramenti, o altre pregiudizievoli, che emergano dopo la trascrizione del rent to buy. La trascrizione ha una durata massima di 10 anni.

Questa tutela permane anche in caso di fallimento del venditore.

7) Cosa può essere oggetto del rent to buy? Anche gli immobili in costruzione?

Il rent to buy può avere ad oggetto qualsiasi immobile: appartamenti, autorimesse, cantine, negozi, uffici, capannoni e negozi. Persino terreni.

Può avere ad oggetto un immobile in costruzione. Tuttavia se il bene è allo stato grezzo, sarà necessario cancellare l’ipoteca che grava sul bene; è però possibile prevedere l’accollo del mutuo.

Per le imprese di costruzione il rent to buy potrebbe rappresentare un valido strumento per pagare le rate del mutuo originariamente contratto per la costruzione.

8) Per il rent to buy relativo ad un immobile in costruzione, se l’impresa fallisce il conduttore perde il proprio denaro?

No: il contratto di rent to buy continua anche in caso di fallimento del proprietario. Inoltre, la vendita non è soggetta a revocatoria fallimentare, se pattuita al giusto prezzo e si tratta di abitazione principale del conduttore o dei suoi parenti o affini più stretti.

9) Il conduttore/acquirente può riservarsi la nomina di un terzo in sede di rogito?          

Si, la legge è elastica sul punto e prevede la facoltà di riservarsi la nomina di un terzo come in tutti i contratti preliminari.

E’ anche possibile prevedere la cessione del contratto.

10) Quali imposte si pagano? Il rent to buy è conveniente?

Bisogna distinguere se chi concede il godimento in vista della futura vendita è un privato o un’impresa, e bisogna distinguere anche tra imposte dirette (a carico del proprietario/venditore) ed indirette (a carico del conduttore/acquirente).

Si deve, inoltre, tenere conto che non c’è ancora una disciplina specifica sul piano tributario.

In ogni caso, per valutare i vantaggi (o gli svantaggi) fiscali è necessario valutare la specifica posizione fiscale del venditore, facendo un’analisi economica e fiscale del singolo caso concreto.

Anche per questo motivo il cliente ha bisogno fin dall’inizio della collaborazione di un professionista. Naturalmente i notai italiani sono competenti a valutare l’operazione nel complesso ed a consigliare il cliente. La consulenza notarile consente di affrontare con completezza, serietà e professionalità, ogni singola questione fin dal momento iniziale così da evitare danni futuri.

Va precisato che nel periodo del godimento (paragonabile alla locazione), le imposte legate al possesso dell’immobile sono a carico del proprietario, come in qualsiasi contratto di affitto.

Le spese di trascrizione del contratto nei registri immobiliari sono, invece, a carico dell’acquirente, come le spese ed imposte dovute per l’atto di compravendita dell’immobile.

APPROFONDISCI –> Rent to buy – Ipotesi di schema contrattuale


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Cassazione n. 26765/2014: trasmissione elenco protesti, Notaio e sanzione disciplinare

camera_commercio_anconaIl notaio che ritarda la trasmissione degli elenchi protesti alla Camera di Commercio, è soggetto esclusivamente a procedimento disciplinare e non anche ad ulteriori sanzioni di altro genere.

Questo principio è stato enunciato con sentenza della Corte di Cassazione n. 26765 depositata in data 5 gennaio 2015.

In tale contesto, la Cassazione è stata sottoposta ad un quesito cui ha cercato di dare risposta proprio mediante la pronuncia in esame, ovvero, se la previsione di cui all’art. 235 Legge Fallimentare sia tacitamente venuta meno per effetto della legge che abolisce l’obbligo di trasmettere gli elenchi potresti al Presidente del Tribunale.

L’articolo 235 Legge Fallimentare, in particolare, riguarda proprio la punibilità con sanzione amministrativa, del notaio che senza giustificato motivo, omette di inviare gli elenchi protesti cambiari o trasmette elenchi incompleti.

Ha stabilito in proposito la Cassazione che, pur sussistendo tuttora l’obbligo di trasmettere i suddetti elenchi alla Camera di Commercio, la violazione dello stesso costituisce esclusivamente un illecito disciplinare sanzionato dal Consiglio Notarile; non comporta invece l’irrogazione di sanzioni amministrative.

APPROFONDISCI –> Testo della sentenza


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Compravendita e Notaio: dati catastali e titoli di provenienza

corte_appello_milanoIl notaio rogante una compravendita immobiliare non può rifarsi unicamente ai dati catastali del bene dovendone al contrario accertare l’effettiva proprietà in capo al venditore attraverso l’esame dei titoli di provenienza. Lo ha stabilito la Corte di appello di Milano, con la sentenza 7 gennaio 2014 n. 16, individuando la responsabilità professionale di un notaio, ed anche del geometra che aveva errato nel frazionamento dell’immobile, per aver stipulato un contratto in cui veniva venduto anche un subalterno che esulava dalla proprietà degli alienanti.

L’errore nella planimetria – Secondo la Corte di merito, infatti, dalla descrizione fattuale della vicenda, «risulta chiaro» che il notaio nella redazione del contratto di vendita abbia considerato soltanto le planimetrie predisposte dal geometra, «senza consultare con la dovuta perizia i precedenti atti di provenienza».
Mentre per verificare che i beni fossero realmente di proprietà dei venditori, «sarebbe stato necessario accertarsi che i medesimi beni costituissero l’oggetto del contratto d’acquisto da parte del padre dei fratelli ai quali poi i cespiti sono stati trasferiti per successione mortis causa». E tale accertamento si sarebbe dovuto effettuare «confrontando semplicemente la descrizione e le coerenze dei beni oggetto del titolo di provenienza con quanto riportato nelle schede catastali redatte dal geometra». A quel punto la mancata coincidenza delle due descrizioni «avrebbe dovuto indurre il notaio a rilevare l’errore o a far sorgere un dubbio in merito, da sciogliere con i dovuti controlli».

I doveri del professionista – Per queste ragioni il giudice di appello concorda con la motivazione fornita in primo grado dal tribunale secondo cui «nel predisporre la descrizione del bene oggetto della compravendita il Notaio non poteva limitarsi a richiamare i dati identificativi catastali risultanti dalle ultime schede catastali, ma doveva altresì esaminare il titolo di provenienza onde accertare che i beni fossero effettivamente di proprietà dei venditori».

Il valore dei registri catastali – Infatti, prosegue la sentenza, le risultanze dei registri catastali – «preordinati a fini essenzialmente fiscali» – hanno valore «meramente indiziario e da esse non può trarsi la prova decisiva della consistenza degli immobili e della loro appartenenza». Ciò vale tanto più se quelle risultanze, come nel caso di specie, «sono contraddette da altre emergenze», in particolare risultanti dal titolo di provenienza, poiché, in tema di compravendita immobiliare, «ai fini dell’individuazione dell’immobile oggetto del contratto, più che i dati catastali ha valore determinante il contenuto descrittivo del titolo ed i confini indicati nel titolo stesso».

Le attività accessorie«Come è noto – conclude la sentenza, riprendendo la Cassazione (26020/2014) – l’attività professionale richiesta al Notaio nel caso di stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare, per atto pubblico o scrittura privata autenticata, non è limitata al compito di accertamento della volontà delle parti e di redazione dell’atto di vendita; essa estende anche allo svolgimento delle attività accessorie necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti e tra queste vi è il compimento di attività dirette a individuare esattamente il bene e a verificarne l’effettiva proprietà in capo al venditore, così da garantire una stipulazione legalmente valida ed efficace dell’atto, con il conseguimento dello scopo voluto dalle parti».
E «l’inosservanza di tali obblighi accessori comporta il sorgere di responsabilità contrattuale per inadempimento della prestazione d’opera intellettuale». Da ciò deriva che il Notaio è tenuto ex articolo 1176 del codice civile a risarcire il danno derivato dalla sua negligente condotta.

APPROFONDISCI –> Corte d’Appello di Milano – Sezione I – Sentenza 7 gennaio 2014 n. 16

 


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DL 69/2013: possibilità di trascrivere l’accordo di mediazione che accerta l’usucapione

usucapione

Dl 69/2013: usucapione, nuovi spiragli sulla trascrizione.

a cura del Notaio Angelo Busani

La possibilità di trascrivere l’accordo di mediazione che accerta l’usucapione (introdotta dal DL 69/2013, che ha inserito il nuovo numero 12-bis nell’articolo 2643 del codice civile) ha aperto scenari di notevole interesse professionale, precedentemente impraticabili, che sono stati oggetto di un approfondito studio (n. 718-2013/C datato 31 gennaio 2014) del Consiglio nazionale del notariato.

Questo nuovo n. 12-bis testualmente ammette la trascrizione degli «accordi di mediazione che accertano l’usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato».

Oltre a mettere la parola fine sul contrasto giurisprudenziale in tema di ammissibilità di un accordo conciliativo sull’usucapione e della sua trascrivibilità, la nuova norma sollecita infatti numerose importanti riflessioni.

Riassuntivamente:

a) se l’usucapione sia oggetto di una sentenza di accertamento, la sua trascrizione produce gli effetti previsti dall’art. 2651 codice civile e cioè ha il valore di “pubblicità notizia” e quindi non ha l’effetto tipico della pubblicità dichiarativa (di cui agli articoli 2644 e 2650 del codice civile, vale a dire quello di rendere l’atto trascritto opponibile ai terzi e, quindi, di risolvere l’eventuale conflitto tra una pluralità di aventi causa di diritti tra loro contrastanti, avendo come autore lo stesso dante causa);

b) se invece l’usucapione sia oggetto di un accordo di mediazione, la sua pubblicità, ai sensi del nuovo n. 12-bis dell’art. 2643 del codice civile, ha l’effetto dichiarativo di cui all’art. 2644 del codice civile, e cioè l’effetto di essere opponibile ai terzi qualora sussista una continua catena di trascrizioni risalendo all’indietro dall’attuale avente causa a ogni precedente dante causa.

Qualora questa continuità di trascrizioni invece non sussista (in quanto il soggetto che ha subito l’usucapione e che ha sottoscritto l’accordo di mediazione non risulti legittimato in base a un titolo debitamente trascritto nei registri immobiliari), la trascrizione dell’accordo di mediazione, effettuata ai sensi del n. 12-bis dell’articolo 2643 del codice civile, ha solamente un effetto “prenotativo”, vale a dire che sarà opponibile ai terzi una volta che la catena delle trascrizioni sia ricomposta e cioè sia trascritto anche l’acquisto del soggetto che ha ammesso, a suo svantaggio, il compimento dell’usucapione.

Sempre per effetto della introduzione del nuovo articolo 2643, n. 12-bis, del codice civile, si rende oggi pacifico:

a) stipulare un atto negoziale di mero accertamento dell’intervenuta usucapione, anche al di fuori di una procedura conciliativa, che potrà essere trascritto nei registri immobiliari con gli stessi effetti che si producono con la trascrizione dell’accordo di mediazione (e ciò ai sensi dell’articolo 2645 del codice civile, il cui contenuto si è “arricchito” nella stessa misura in cui si è arricchito l’elenco degli atti trascrivibili nei registri immobiliari, in ragione dell’introduzione del predetto n. 12-bis dell’art. 2643 cod. civ.);

b) riconoscere l’usucapione in un accordo transattivo soggetto a trascrizione ai sensi del n. 13 dell’art. 2643 del codice civile e i cui effetti sono perciò regolamentati dagli articoli 2644 e 2650 del codice civile, con l’effetto dell’opponibilità ai terzi.

APPROFONDISCI –> Studio n. 718-2013/C del Consiglio Nazionale del Notariato

LA TRASCRIZIONE DELL’ACCORDO CONCILIATIVO ACCERTATIVO DELL’USUCAPIONE

Approvato dall’Area Scientifica – Studi Civilistici il 24 ottobre 2013

Approvato dal CNN il 31 gennaio 2014

a cura del Notaio Marco Krogh


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Decreto “Destinazione Italia”: Notariato e certificazione energetica

ape

Il Consiglio Nazionale del Notariato ha svolto alcune brevi prime riflessioni sulle modifiche apportate ai commi 3 e 3-bis dell’art. 6 del D.lgs. n. 192 /2005 dal D.L. 23 dicembre 2013 n. 145 (c.d. “Decreto destinazione Italia”), che interviene nuovamente sulla disciplina in tema di certificazione energetica, modificando le regole sull’obbligo di dotazione e sull’obbligo di allegazione dell’attestato di prestazione energetica  (APE)

APPROFONDISCI –> Scarica l’approfondimento


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Le nuove S.r.l.: recente Studio del Consiglio Nazionale del Notariato

notariato

Studio di Impresa n. 892-2013/I

LE NUOVE S.R.L.

(Approvato dall’Area Scientifica – Studi d’Impresa il 14 novembre 2013)

(Approvato dal CNN il 12 dicembre 2013)

Sommario: 1. Cronologia degli interventi normativi; 2. Le s.r.l. con capitale inferiore a diecimila euro; 3.Aumenti e riduzioni nelle nuove s.r.l.; 4. La costituzione semplificata delle s.r.l.; 5. Questioni di diritto transitorio; 6. La trasformazione da e in nuove s.r.l.

a cura di Daniela Boggiali e Antonio Ruotolo

***

1. Cronologia degli interventi normativi

L’introduzione nel nostro ordinamento di modelli di società a responsabilità limitata il cui capitale potesse esser inferiore al minimo di 10.000 euro stabilito dal n. 4) del comma 2 dell’art. 2463, c.c., è avvenuta gradualmente, con provvedimenti legislativi tutti caratterizzati dall’urgenza e, giocoforza, da notevoli problemi di coordinamento.

Ancorché tali provvedimenti si siano succeduti in un arco temporale limitato, si è creata una stratificazione di norme che, in alcuni casi, non è stata accompagnata da interventi di coordinamento delle disposizioni normative interessate dalla riforma della disciplina della costituzione e del capitale delle s.r.l. (1)

Appare, pertanto, utile ripercorrere le tappe degli interventi del legislatore in ordine cronologico.

APPROFONDISCI –> Scarica lo Studio

 


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Cass. n. 26777/2013: CO.RE.DI., Notai ed attività accertativa

DOSSIER SISMI: P.CHIGI, TOTALE FIDUCIA IN MAGISTRATI. EVENTUALI SOPRUSI SERVIZI NON RIENTRANO IN CORRETTA GESTIONE

Corte di cassazione – Sezioni unite civili – Sentenza 29 novembre 2013 n. 26777

L’organo disciplinare dei Notai (CO.RE.DI) non è tenuto a dare avviso al notaio dell’inizio dell’attività accertativa.

Lo hanno stabilito i giudici delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26777/2013, dichiarando inammissibile il ricorso del notaio.

La Suprema Corte precisa che: “Poiché I’art. 155 della l. n. 89 del 1913 prevede che il notaio debba essere avvisato del procedimento disciplinare una volta pervenuta alla Co. Re. Di. la richiesta di procedere e, quindi, la fattispecie dell’inizio del procedimento -agli effetti dell’avviso al notaio- è disciplinata espressamente con riferimento a detto momento, deve escludersi che sussista un onere di avviso ai sensi dell’art. 7 della I. n. 241 del 1990 e successive modifiche quanto alle fasi precedenti e segnatamente quanto alle attività accertative funzionali alla formulazione della richiesta da parte dell’organo cui è riconosciuta dall’art. 153 l’iniziativa disciplinare del, atteso che l’art. 160 della I. n. 89 1913 (come modificato) prevede l’applicabilità della I. n. 241 del 1990 soltanto per quanto non espressamente previsto dal titolo VI della I. n. 89 del 1913 e considerato che -nella specie- nell’art. 155 si rinviene un’espressa disciplina”.

Susseguentemente la Suprema Corte  afferma che “delle attività precedenti -e segnatamente dell’attività accertativa che l’organo abilitato all’iniziativa disciplinare possa avere svolto in funzione della formulazione della richiesta- non è previsto debba darsi avviso al notaio, il che implica che l’inizio del procedimento agli effetti dell’avviso si identifichi solo nella formulazione della richiesta di procedere disciplinarmente”.


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Errore nella redazione della denuncia di successione e responsabilità professionale del notaio

DICHIARAZIONE-DI-SUCCESSIONE

Tribunale di Milano – Sezione I civile – Sentenza 15 luglio 2013 n. 10023

Si configura una responsabilità professionale del notaio, fonte di pregiudizio risarcibile in favore del cliente, nell’ipotesi di errore nella redazione della denuncia di successione e di formalizzazione di atti di rinuncia all’eredità, determinante l’acquisto di quote degli immobili caduti in successione da parte dello Stato.

L’azione di responsabilità contrattuale nei confronti del notaio che abbia in tal modo violato i propri obblighi professionali è accolta, secondo le regole generali che disciplinano la materia risarcitoria, nei limiti della verificazione del danno, occorrendo a tale scopo valutare se il cliente avrebbe potuto conseguire, con ragionevole certezza, una situazione economicamente più vantaggiosa qualora il professionista avesse diligentemente adempiuto la propria prestazione.

Questo è l’orientamento della prima sezione civile del Tribunale di Milano con la sentenza 10023/13, in riferimento alla condanna al risarcimento dei danni subiti dal cliente di un notaio in seguito all’inadempimento dell’incarico professionale, avente ad oggetto la predisposizione delle misure idonee a far ottenere l’intera quota di proprietà di un immobile.

Nel caso di specie, l’errore del notaio nella redazione della denuncia di successione aveva determinato l’acquisto in via automatica in capo allo Stato di una quota dell’immobile, impedendo alla cliente di acquisirne l’intera proprietà.

I giudici di Milano, nell’affermare la risarcibilità solo dei danni di diretta e immediata conseguenza del comportamento del professionista, in merito al profilo dell’inadempimento ritengono che: ” il notaio è tenuto all’espletamento dell’incarico ad esso affidato dalle parti con la diligenza media di un professionista sufficientemente preparato ed avveduto, secondo il disposto di cui all’art. 1176, comma secondo, c.c.. La diligenza esigibile dal professionista non può, dunque, identificarsi con quella dell’uomo medio, ma con quella exacta diligentia esigibile dall’homo eiusdem generis et condicionis, cioè dall’astratta figura di agente modello, esperto ed accorto, che ipoteticamente svolga quello stesso tipo di attività posta in essere nel caso concreto.”

APPROFONDISCI –> Testo della sentenza