di Matteo Mattioni, dottorando in diritto internazionale e diritto privato e del lavoro, Università di Padova
“Se andiamo dal notaio meno volte non è un problema”: lo aveva dichiarato Matteo Renzi una settimana fa, chiosando una sua dichiarazione alla stampa in merito al d.d.l. sulla concorrenza approvato venerdì scorso. Fra le altre misure, il provvedimento sottrae alla competenza esclusiva del notaio le cessioni a qualsiasi titolo di immobili non abitativi di valore (catastale) non superiore a 100.000 euro.
Questo d.d.l., secondo il primo ministro, rappresenta “un ulteriore passo verso una maggiore liberalizzazione di alcune realtà”, e non “un attacco alle certezze di cui ha bisogno il nostro sistema”: certezze che, nel Renzi-pensiero, non sembrano dipendere dall’intervento notarile.
Ma se le cose stessero davvero così, logica e coerenza imporrebbero l’abolizione definitiva del notariato. Non invece l’allargamento agli avvocati della sola possibilità di autenticare le sottoscrizioni dei piccoli trasferimenti immobiliari.
In realtà il governo non pensa certo a eliminare i notaî: la classe politica conosce bene il valore di un notariato come quello italiano, garante irrinunciabile della legalità e della solidità delle operazioni economiche più importanti (trasferimenti immobiliari, vicende delle società di capitali, ecc.) attraverso l’intervento attivo che l’ordinamento gli demanda.
Chi non conosce questo valore è, invece, una larga fetta dell’elettorato italiano, che – vuoi per ignoranza, vuoi per una provinciale ipersensibilità alla retorica delle sirene esterofile – percepisce il notariato come una “casta” antidiluviana e pseudo-mafiosa, e l’attività del notaio come un balzello odioso per il povero cittadino, cui la legge impone di subire un costo di transazione inutilmente eccessivo.
Il problema è che il contenuto della prestazione notarile e il valore di essa è tanto importante quanto difficilmente percepibile da un non addetto ai lavori (e quindi, in tempi di empirismo spinto, difficilmente spiegabile). Sicché, anche nell’era del web 2.0 (o 3.0, ho perso il conto), l’idea che la gente ha del notariato è del tutto nebulosa e costellata da tralatizie superstizioni.
Del ruolo del notaio può dirsi, come per la salute del corpo, che finché c’è non ci bada nessuno, o quasi; quando invece non c’è più, allora ci si avvede di aver perso un quid essenziale. E questo quid andrebbe spiegato a tutti, a ogni livello (anche nelle Università, dove non si offre – salvo un paio d’eccezioni – la benché minima infarinatura di diritto notarile), anziché alimentare l’ignoranza e cavalcare il più bieco ed antiquato odio di classe.
Al contrario, provvedimenti come quello approvato il 20 febbraio sono pericolosi perché vanno esattamente in quest’ultimo senso, consolidando la convinzione, tristemente diffusa, che il notaio non serva a nulla se non, forse, all’identificazione del sottoscrivente e al compimento di poche meccaniche formalità burocratiche da Ancient Régime.
Occorrerebbe invece spiegare che il notaio esercita un controllo di legalità formale ma, soprattutto, sostanziale sugli atti che l’ordinamento lo chiama (attivamente, non passivamente) a redigere, ossia a pensare e studiare prima che a scrivere. E occorrerebbe spiegare che il notaio è consulente attivo delle parti nelle specifiche materie di sua competenza, sulle quali deve sottoporsi a una severa formazione, completamente diversa da quella di altri professionisti (avvocati, commercialisti, ecc.) che molti ritengono, falsamente, del tutto sostituibili a lui.
Liberalizzare l’attività notarile, consentendone l’esercizio ad altre categorie professionali, significa aprire sul terreno dell’ordinamento varchi pericolosi a illegalità, opacità, incertezza. Ma non è a rischio soltanto la tenuta del sistema giuridico. È a rischio, sul piano individuale, anche la pace di spirito che deriva dall’acquistare un immobile sapendo che non sarai truffato dal venditore, dall’agente immobiliare o dalla banca che ti presta i soldi; è a rischio la serenità di costituire una società sapendo che il danaro investito è confluito in un nuovo soggetto giuridico che non solo è sano, cioè valido, ma che è stato “costruito” nel modo più rispondente possibile alle esigenze e ai progetti dei soci.
A questo serve, da noi, l’attività notarile, che non a caso si fonda sull’indagine della volontà pulsante delle parti (art. 47 l. not.) e non sulla verifica formale di documenti. Ed è una fortuna che giovani e bravi giuristi si avvicinino a questa professione: non scoraggiamoli, perché abbiamo davvero bisogno di loro.